Home Approccio Italo Albanese L’Albania che vorrei! Di Gentian Alimadhi

L’Albania che vorrei! Di Gentian Alimadhi

Il 26 maggio scorso il Premier albanese, Edi Rama, dopo l’esordio in Grecia, ha fatto tappa a Busto Arsizio per incontrare la numerosa diaspora albanese. Ero tentato inizialmente ad andarci vista anche l’agevolazione logistica offerta dagli organizzatori, con l’idea di avere, finalmente, un confronto costruttivo e di scambio e auspicando un avvicinamento alla diaspora a cui appartengo da parte del governo di Tirana. Alla fine ho desistito a causa del comizio da campagna elettorale tenuto ad Atene due settimane prima che sapeva di monologo ricco di retorica nazionalista-populista.

Infatti anche al comizio di Milano, a parte la parte iniziale di concerto tenuto dai più importanti idoli della musica albanese, il discorso di oltre 60 minuti è stato ancora più sterile di quello tenuto ad Atene.

Credo che la diaspora si aspettasse qualcosa di più concreto, che toccasse con mano temi “caldi” e attuali, a partire da problematiche di carattere puramente burocratico. Provo a fare un esempio banale per chiarire quello che sto dicendo: se un minore o un adulto viene adottato in Italia e prende il doppio cognome, lo stato civile albanese non prevede la trascrizione di due cognomi.

Inoltre, diversi certificati dello stato civile rilasciati in Albania, non sono adeguati per i rispettivi uffici in Italia. Definisco “sterile” il discorso perché ripetuti e degni di una lezione universitaria sono stati i riferimenti storici; riferimenti, questi ultimi citati, che spesso partivano dalla Grecia antica per poi schiantarsi nella storia dei tempi nostri, ricca degli slogan razzisti di Bossi e della preconcetta stampa italiana che fino a qualche anno fa stigmatizzava tutti gli albanesi come delinquenti. Da sfondo per tutto il discorso sono stati piazzati ad arte passaggi emozionali strappalacrime riecheggianti le sofferenze causate dall’esodo biblico del ‘91.

Con il senno di poi sono stato anche “sollevato” dal non avervi partecipato perché potevo essere bastonato e spinto anch’io qualora mi fossi unito alla decina dei giovani della diaspora europea di seconda generazione, domenica presente, che è stata picchiata e buttata fuori dal palazzetto ingiustamente soltanto perché, in modo pacifico, voleva appendere uno striscione che contiene una richiesta semplice: “#voglio votare 2025” (in albanese, #duatevotoj2025).

Permettere l’esercizio di questo diritto civile, sia in modo attivo che passivo, nei paesi dove la diaspora albanese vive, è espressione di uno Stato di diritto ed è ciò che quest’ultima sta sollecitando; niente di più, niente di meno. Lo prevede la Costituzione e lo ha imposto quasi un anno fa la Corte costituzionale albanese.

L’Albania è l’unico paese in Europa, unitamente al Montenegro, a negare questo diritto nonostante sia stato regolarmente promesso da tutte le forze politiche in prossimità delle tornate elettorali degli ultimi 20 anni.

L’unico merito che posso attribuire all’attuale classe politica albanese è quella di saper vendersi bene all’estero.La percezione che l’europeo medio ha dell’Albania è quella dell’isola felice, dove si può vivere bene e la vita non è cara. Ciò però non è sufficiente per considerarla un’isola felice.

Non lo è almeno per quella stragrande maggioranza di cittadini albanesi che la abbandonano ogni giorno in quantità allarmante. Basti pensare che sono più gli albanesi che vivono all’estero di quelli che sono rimasti in Albania. I morti nel canale d’Otranto di ieri sono stati sostituiti dai morti nello stretto di La Manche oggi.

Sono tanti gli albanesi della diaspora che non si accontentano dell’involucro luccicante mascherato di orgoglio nazionale che il premier albanese vuole seminare coi suoi comizi elettorali, che sanno, al contrario, solo di anacronismo e patetismo dannosi.

Trovo aberrante riempire di retorica emozionale gli animi dei presenti con il resoconto delle sofferenze laceranti dell’esodo e dei morti in mare.

Alla battuta goliardica di Rama di qualche anno fa che definiva gli italiani “come albanesi vestiti di Versace” io rispondo invece che “Rama è un dittatore orientale vestito con scarpe da ginnastica”.

Da membro di quella diaspora albanese che conta più di 500 mila unità in Italia, mi sento una persona libera e capace di leggere la realtà e i dati catastrofici che ritraggono il paese.

Gli italiani non lasciano il paese per dare una speranza ai loro figli, non lasciano il paese per curarsi anche dalle malattie più banali, non lasciano il paese perché le scuole italiane non sono riconosciute all’estero e così via.

Vorrei una politica fatta dai giovani, fino ad oggi soffocati dai dinosauri del ‘sigurimi’, una politica che combatta le disparità sociali e affermi la giustizia sociale.

Sogno un’Albania dove non si sia costretti a scegliere soltanto tra due alternative: scendere a patti col diavolo o fuggire via, non si sa dove.

Sogno un paese che non occupi gli ultimi posti nelle classifiche internazionali sulla libertà dei media e gli algoritmi non oscurano soltanto gli articoli di stampa che criticano il governo, vorrei un paese dove, la pseudo-lotta alla corruzione non porti ancora più corruzione.

Sogno un paese dove il premier non chiami, con arroganza da despota, il direttore di una trasmissione tv come il Report per interrompere la serie di documentario che scopre il vaso di pandora.

Insomma, sogno un paese che mi renda davvero orgoglioso./Il Pamorama Parma

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