Home Approccio Italo Albanese Edolie ed il “non-ancora-cosciente”. di Leone Melillo

Edolie ed il “non-ancora-cosciente”. di Leone Melillo

Elodie Di Patrizi, in occasione di una recente intervista, si è soffermata sul tema dell’inclusione e, quindi, sull’“uso della propria libertà di espressione”, sui “diritti acquisiti, ma minacciati”, precisando poi che “attaccando i gay o l’aborto, si attacca la libertà” che è “sinonimo di felicità”.

Elodie sembra affrontare la distinzione – chiara alla tradizione romanistica – che pencola tra lo “status” e la “condicio”, per trovare “le ragioni dell’obbedire”, perché – come evidenzia una lettura di Gentile – “in un tempo, quale il nostro, in cui il bisogno, ogni bisogno, si traduce immediatamente nella rivendicazione di un diritto, mentre il dovere, qualsiasi dovere, viene avvertito epidermicamente come compressione della propria, personale, libertà, chiedersi perché obbedire, ed in particolare perché obbedire alle leggi dello Stato, costituisce insieme un bisogno e un dovere”.

L’attenzione si sofferma, quindi, sul DDL 2005, approvato dalla Camera dei deputati il 4 novembre 2020, in tema di “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Un tema di ricerca che ho analizzato, in occasione del convegno che ha avuto luogo il 3 giugno 2021, ispirato dal menzionato DDL 2005, avvalendomi del confronto con Francesco Urraro, Monica Cirinnà, Suor Anna Monia Alfieri e Massimo Gandolfini.

In quella circostanza ho evidenziato, tra l’altro, che – come ha chiarito Generoso Melillo – “le formazioni sociali più risalenti sono assolutamente estranee alla definizione generica di titolarità giuridiche potenziali fondate sull’eguaglianza formale, dogma, questo, formatosi esclusivamente nelle ideologie e nelle codificazioni di stampo democratico-formale degli ultimi due secoli”.

Un limite denunciato dallo scisma sommerso di Pietro Prini che si sofferma su un’annotazione, densa di significato. Già “nel 1965, Joseph Ratzinger, mentre il Concilio Vaticano II volgeva al suo termine, ricordava quanto avesse colpito gli uomini la parola aggiornamento che il pontefice Giovanni XXIII aveva lanciato, con la sobrietà intellettuale che era suo costume, tra le idee programmatiche del suo proposito di convocare la più alta adunanza rappresentativa della Chiesa”.

Un limite avvertito dal “pontificato di Bergoglio” che sembra “rappresentare un superamento della teoria dei paradigmi”. Una scelta che “cerca, con tutti i mezzi disponibili oggigiorno, di contrastare quello che Pietro Prini chiamava lo scisma sommerso, ossia quel constatabile divario tra la dottrina ufficiale e gli stili di vita sempre più secolarizzati delle persone”.

Una prospettiva che sembra riecheggiare anche il “principio speranza” di Ernst Bloch. Si avverte che “qui qualcosa è rimasto per così dire cavo, anzi si è formato un nuovo spazio cavo”: “proprio a un simile vacuum – come evidenzia Remo Bodei – la speranza cerca di trovare un riempimento”, attraverso un “preliminare depotenziamento del concetto di realtà assoluta” e “l’abbattimento del diffuso pregiudizio secondo cui prima si dà il reale”. La “prova di realtà”, in tal modo, “finisce così per apparire come un insieme compatibile di possibili simultanei (qualcosa di analogo ai compossibili di Leibniz), le cui combinazioni e configurazioni, più o meno stabili, possono variare ed essere sottoposte a incessanti mutamenti, in un gioco senza fine”.

Si delinea la possibilità, evidenziata da Remo Bodei, “di anticipare il non-ancora-cosciente per innestarlo nel non-ancora divenuto” latente nei processi storici in corso”, perché, come evidenzia Rodolfo de Mattei, “la storia del pensiero politico è un aspetto della storia del pensiero, e la storia del pensiero è un’espressione della storia dell’incivilimento e della storia propriamente detta”.

Quale incivilimento ?

Come chiarisce Bodei che legge Bloch, “bisogna certo imparare a concepire ogni processo come un divenire, senza però credere che la fase di volta in volta attuale sia già in anticipo svalutata dalla maggiore perfezione della precedente (o anche della successiva)”: «non è necessario, ad esempio, che il matrimonio – come dice il proverbio – diventi la tomba dell’amore: “anche il matrimonio ha la sua utopia specifica e una aureola che non coincide col mattino dell’amore e perciò non perisce affatto con esso”».

Infatti, come sembra evidenziare Elodie, la “cultura è andare al di là delle porte di un archivio, è memoria, incontro, apertura al mondo, costruzione del futuro”.

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