Come ”oggetto della coscienza”
Di Maria Teresa Liuzzo
L’Angelus Novus contempla nella bufera la catastrofe umana, ha le grandi ali di Klee spiegate: vorrebbe risvegliare i morti disseminati dalla Storia sui campi come foglie in autunno, uccisi dai fantasmi della ragione e al contempo dell’irragionevolezza più assoluta. E’ suffragato da una musica malinconiosa di artiglieria, di schioppi. – Ma come dice Walter Benjamin – è il vento scatenato dalla tempesta, dal male stesso che attraversa la Storia umana, a spingerlo verso il futuro, alle sue spalle. Davanti al suo sguardo solo macerie. Rovine in accumolo, in crescita verso il cielo….
Il terreno del campo interrogava il seme
disteso sotto la sua ubertosa superficie.
Il cielo aveva il colore di un lago di montagna.
Appesa a un ramo, la giacca dell’agrimensore
immobile come il volto silenzioso di una lapide.
Ogni granello di terra era una lettera dell’alfabeto,
richiedeva acqua e devozione sino a tarda sera.
Si allargava a quell’ora incerta
sul prato una ragnatela di pioggia
sotto i raggi sanguigni del tramonto,
che stendeva l’ultimo velo di porpora sul mare.
Bufere di luce erano dietro i vetri,
avevo nel cuore acquerelli d’ombra.
Nella bocca si faceva primavera la parola,
la neve aveva vitrei occhi rossi di pianto.
A te luna, lancerei in alto i miei pensieri, se solo potessi.
L’infinito che riempie il nostro cranio è l’intuizione, e noi siamo pedine sparse sulla sua scacchiera universale. Una rete composta da caselle in numero illimitato che solo con la contemplazione spirituale possiamo ”vedere” o con il moto aereo dello sciamano che si agita nelle nostre anime. Ambire all’infinito può diventare un vizio che ci nutre con un cibo di mala follia, con la tentazione di non esistere; può decretare l’esilio in altre terre, in altri mari, in acque galattiche lontane anni luce, presso le ciclopiche ombre. Amore di parola però mi salva. E’ questo amore il mio difetto ed il mio tetto, la mia vita e la mia inguaribile ferita.
Nel suo grembo mi tiene stretta stretta, con i capelli avvinti dietro un muro di visioni e passione, di pianto. E non mi serve invocare pietà di fronte a questa celeste grandezza che simula la vita nell’Oltre o la morte. Nel farmi sua riesco a respirare. Vorrei che questo infinito rimanesse sempre dentro di me e nei miei sogni, che fosse il mio lasciapassare. In ogni verso delirava un ribollire di mosto, come un lutto chiuso dentro il petto, ma vivo.
Luce di luci sentivo vibrare
e un roseto in petto fiorire.
Si animava la scrittura,
di colori infiammata
come un corpo d’acqua.
Inanellata d’astri
tra doloranti ombre
azzurrato appariva
il Cielo.
Interrogavo Dio, ma Lui taceva.
Maria Teresa Liuzzo
Dal romanzo ” Piogge verdi di smeraldi ” – Agar Ed. 2024 – pag. 375