DI MARIA TERESA LIUZZO
Rimane soltanto il canto di una lunga notte
tra riccioli di onde sul cuscino
e sulle dita, schiacciati, orli di cuore.
Un lampo di vita si contrae nel sangue,
accorcia il tempo
la balza di una gonna.
Una vertigine nel rantolo del tempo
la neve si scioglieva sopra il mento,
l’incertezza era inferno nelle ossa.
Eravamo l’oriente in una stanza
sotto una gobba di luna che avanzava
decapitando la parola sull’altare.
Bruciava il silenzio più del rogo,
l’affanno distribuivi in diagonale,
i ritmi mischiavi come carte,
febbre tornavi di un sangue senza corpo.
Tu scioglievi i miei capelli d’ombra
incerto come il sole tra le nubi,
il tuo amore nel mio petto si placava.
A spasso con la morte andava la vita
e a ogni inciampo il sangue s’incrostava
incatenato alla forma dell’orrore,
cancrena dentro il cuore di una sposa.
Nel bisticcio di una rima si svelava
la parola innamorata più del fuoco.
Piovvero astri nel solco della notte
e una gemma di luna mi ha ferita.
Il tuo tessuto è una rete armata
eppure io resisto, parola viva,
nel sangue aggrumato di questa vena,
l’oblio del tempo imbastisce la scena.
Distesa su un foglio di papiro,
non vista né sentita,
morta non ero né arrugginita –
come una foglia a terra e senza méta
tra le braccia stretta dell’aurora
germogliare sentivo il sangue dalla pietra.
Chiusa la porta il cuore ho spalancato,
spalato neve sotto frasche di fiele
nell’azzurro ghiacciato dentro il fiume.
Attraversavo sentieri di parole
con sacco a pelo e un sasso per cuscino.
Nel cratere dell’acqua nuotava una canzone,
il tuono accendeva la lite
e tu esibivi un bottino di ferite.
Appariva un fossile il domani,
dove iniziava il male a rinverdire:
insegnami a morire!
Tra stanze immaginarie sei la luna,
io, lacrima appesa ad uno spillo.
Il presente è il passato del domani,
si spezza l’umanità come un dittongo.
Lo spettro del silenzio è la tua assenza,
ma non c’è pianto che scuce la coscienza.
La magia di quella notte elèva a Dio:
i solchi della pelle sulle mani,
la cera che si scioglie tra le dita.
Attònita una fiamma di candela
annullava la cecità del cuore.
Se tu fossi la morte ti avrei seguita.
S’affaccia dal crepaccio a filo un’erba,
la rima sosta ancora sul quaderno,
nell’aiuola l’unghia spunta dell’inverno.
Urlavano i rami, sembravano creature
ancorate a una tenebra di luce,
avida di preghiere era la sera.
Tutto era smarrito contro il tempo.
La morte in silenzio offriva il proprio latte.
M. T. L.