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Come passare dal “landinismo”, malattia senile del sinistrismo, ad un nuovo patto sociale

Di Pierangelo Panozzo

Ha sostanzialmente ragione il direttore Tommaso Cerno che sul Tempo di ieri scrive nel suo editoriale, tra l’altro, di una manifestazione della “CGIL snaturata da Maurizio Landini e trasformata in un flash mob di partito”. Veri leader della CGIL li ho conosciuti e taluno anche un po’ frequentato.

A cominciare da quel grande leader che è stato Luciano Lama e da Bruno Trentin, ma entrambi erano dotati di un sano senso dello Stato. Landini è, invece, uno scatenatore di scioperi generali a tappeto che né sono “generali”, perché alla fine vi aderiscono ben pochi, e che “a tappeto” lasciano solo i cittadini che soffrono i disservizi conseguenti, quanto a trasporti e quant’altro.

Nel frattempo alle manifestazioni ci va ovviamente Schlein, anche se nell’ultimo caso si è aggiunto con un po’ di nostalgia Massimo D’Alema. Ci vanno, poi, tanti pensionati, ma non si capisce, invece, quanti operai ci vadano…

Buona parte degli operai veri, infatti, man mano erano passati per il voto alla Lega e oggi, cadute le speranze di gloria di Salvini, votano, magari, per Meloni. Certo, ci vanno molti pensionati, anche perché la maggioranza assoluta degli iscritti ai principali tre sindacati sono pensionati.

Certo, Landini, coltiva sogni di gloria. Cerca di dare la linea, a quanto rimasto del PD, inseguito in qualche modo da Schlein. Ma l’interesse del ceto medio piccolo e degli operai chi lo tutela? Non è che bastano i “bombardamenti”, di un signore che si chiama Bombardieri che è il leader della UIL, che si aggiunge alla CGIL per scioperi solo vantatamente generali.

Mi sembra che la posizione più seria sia quella della CISL di Sbarra che ai sedicenti scioperi generali si guarda bene dall’aderire. Perfino Tommaso Nannicini, che è stato il migliore dei consiglieri dell’ex premier e leader del PD Matteo Renzi (entrambi poi hanno preso altre strade…), in un editoriale della Stampa di ieri ha scritto che oggi ormai lo sciopero generale non serve più a nulla.

E, detto da un fior di economista del lavoro, un significato lo ha. Certo i problemi degli operai, dei troppi addetti che soffrono il “lavoro povero” ci sono eccome. Ma il “landinismo” è la via peggiore per affrontarli (oltre che quella seguita da meno operai), visto che si pone come una sorta di “malattia senile del sinistrismo”…

Questo è un Paese di per sé troppo diviso, con una classe politica troppo divisa e con forze sociali troppo divise per permettersi il lusso di suonare la grancassa di scioperi a ripetizione. È solo nell’ambito del tentativo di ricercare una forma di “patto sociale”, e non tramite quella assoluta divisività che sembra ricercata da Landini, che si possono rappresentare gli interessi dei ceti più svantaggiati e affrontare le questioni dei bassi salari (che davvero tali sono da trent’anni in questo Paese) e del “lavoro povero”.

Questioni che esigono che si possa puntare in una atmosfera di concertazione sul recupero di quella produttività del sistema Italia che da trent’anni segue il trend peggiore dei paesi OCSE. Ma Landini studia le questioni economiche e sociali o pensa solo alle piazze? Per studiare occorre ogni tanto rinchiudersi in un ufficio, stare in una scrivania.

I leader sindacali dovrebbero sentire la responsabilità di rappresentare i lavoratori e non giocare alla grande politica, rendendo ancora più diviso un Paese e un sistema già troppo diviso. Per questo ha ragione Sbarra che non va agli scioperi generali, ma che punta ad una sorta di patto sociale per il quale la sede più appropriata per l’istruttoria e il confronto tra le parti sociali potrebbe essere il CNEL egregiamente presieduto da Renato Brunetta.

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