Di Cristina Lovat
“Sulle strade dell’inferno. La mia vita nel carcere di Spaç” (ed. Besa Muci, 2022)
Un libro di testimonianza, duro, tragico, etico nel senso più alto della parola.
Pubblicato in traduzione italiana, è stato presentato martedì all’ Istituto Italiano di Cultura a Tirana, da Anna Lattanzi della rivista “Albania Letteraria”.
Ho avuto l’onore di conoscere personalmente Visar a Tirana 4 anni fa. Non potevo mancare. E con me sono venuti studenti della Sezione Bilingue del Gjimnazi “Ismail Qemali”, Tirane. Seduti in prima fila, ad ascoltare un intenso poeta, la cui giovinezza fu devastata da servili uomini del regime di Hoxha.
Fu condannato nel 1978 a 10 anni di lavori forzati in miniera. La sua “colpa”: aver scritto versi malinconici, contrari al regime, che proclamava la felicità del popolo d’Albania per ordine di stato.
Non gli fu dato allora sapere perché era stato arrestato. Lo scoprì anni dopo, nell’inferno di Spaç: luogo nel quale le categorie spazio-temporali a cui siamo abituati non esistevano più, sostituite da uno spaesamento perenne.
Quelle furono circostanze straordinarie in cui Visar si trovò a fare un’esperienza allucinante di cosa l’uomo può fare ad un altro uomo. Una ricerca sulla natura umana che sprofonda nell’abisso e miracolosamente si leva verso una luce insperata: la scoperta allora della fede nel Cristo, che i sacerdoti prigionieri con lui gli insegnarono a riconoscere in ogni uomo condannato, e la scoperta del potere salvifico della scrittura.
“La poesia mi fece sentire uguale a tutti i poeti. E questo significò allora potermi sentire libero. Provai l’emozione del creare, un senso di beatificazione profonda, segno della mia trasformazione: da ateo aggressivo, quale ero stato prima del carcere, ad uomo di fede, che sentì la forza del trascendente proprio nelle strade dell’inferno di Spac”.
Da lì una ricerca metafisica anche nella scrittura, capace di distillare la parola per rendere la fisicità dei luoghi e degli oggetti, la desolazione dei corpi e delle coscienze devastate.
E in chiusura di incontro la sorpresa: tra il pubblico prende la parola Alesia, giovane alunna di classe X, da me appena conosciuta.
Alesia, con un tono di voce timido, ma determinato, ringrazia Visar Zhiti per ciò che ha ascoltato e aggiunge: “Sono molto emozionata, perché io sono la nipotina di un uomo che fu condannato al carcere dal regime e morì a 45 anni, in seguito ai patimenti sofferti.
Mio nonno non aveva nessuna colpa”.