Il serpente. Racconto di Najada Jifi Bahloul
“In un amore tossico scivoli da un girone dell’Inferno a un altro, sempre più in basso,
sempre più nel buio e nell’umiliazione.
E ogni volta che incontri il tuo custode infernale continui a scambiarlo per un
angelo!” – (Fabrizio Caramagna)
Era un weekend di primavera, e stavo frequentando l’università. I rapporti con mio
padre erano migliorati, ed era sparita tutta quell’aggressività che aveva dimostrato
spesso in passato. Eravamo in viaggio insieme, diretti alla casetta nella fattoria, mio
padre al volante di una Volkswagen di modello tartaruga.
La strada scorreva sotto le ruote, la sensazione di pace riempiva l’aria.
Papà mi guardò: “Sai,” disse con voce pacata, “ho scoperto che i momenti di
tranquillità sono quelli che contano di più nella vita. Ho scritto una poesia che descrive
questo tema, e non vedo l’ora che tu la legga e mi dia la tua opinione.”
“Certo papà, con piacere.”
Seduta accanto a lui, mentre guidava lentamente come di solito, sorrisi divertita.
Sapevo che il momento si stava avvicinando: non appena raggiungemmo la discesa
della strada, mio padre spense il motore e lasciò correre la macchina solo con la forza
della gravità. Era un momento molto divertente.
Il silenzio durante quella breve discesa era rilassante. Scrutammo lo spettacolo,
senza il ronzio del motore a disturbare la quiete.
“Najiya,” disse mio padre d’improvviso, “vorrei sapere come ti trovi all’università,
so che questo ambiente è nuovo per te.”
Guardando diritta davanti a me, risposi: “Va tutto bene. Ho trovato delle buone
amiche.”
“Sono contento per questo,” rispose con un sorriso, poi esclamò “visto che abbiamo
un po’ di tempo libero, vorrei raccontarti una storia.”
Io annuii con entusiasmo, non vedevo l’ora di ascoltarla. Era un’opportunità per
approfondire il nostro legame e per imparare qualcosa da lui.
Mio padre cominciò a raccontare: “C’era una volta una signora indiana che trovò in
un bosco un grande serpente malato, affamato e infreddolito. Decise di salvarlo e
quindi lo portò a casa.”
Interruppi mio padre bruscamente: “Un serpente? Lo porta a casa? Incredibile, non
riesco a crederci!”
“Sì, è proprio così. Con amore e molte premure, lo protesse e iniziò a nutrirlo finché
il serpente crebbe e si abituò a lei”, rispose mio padre mentre riaccendeva la
macchina. La discesa era terminata.
“E dopo, padre?” lo incitai a continuare.
“Un giorno l’appetito del serpente diminuì. La misericordiosa signora pensò che
fosse malato quindi tentò in tutti i modi di nutrirlo, ma fu inutile.”
“Povero serpente,” dissi a voce alta con passione.
Mio padre rise alla mia reazione e proseguì: “Anche se il serpente rifiutava il cibo,
la seguiva sempre. Di notte si arrotolava intorno alle sue gambe, alla pancia, al collo e
poi strisciava sul suo petto alla ricerca del calore della donna. Nel frattempo lei
pensava a come sfamarlo in modo che tornasse come prima.”
Dispiaciuta per il serpente malato, girai la testa verso mio padre. Non volevo che mi
sfuggisse una virgola del suo racconto.
“Alla fine, dopo varie settimane, la signora decise di portarlo dal veterinario per
esaminarlo, forse era malato e c’era speranza di guarigione,” mio padre cambiò il tono
della voce per aggiungere un po’ di mistero, “il dottore ascoltò attentamente la storia
della donna e le chiese se ci fossero sintomi diversi dalla mancanza di appetito,
notando che il serpente si muoveva intorno a lei gelosamente.”
“Che stranezza, padre. Come faceva il serpente a comportarsi così, essendo
malato?”
“Pazienza, Najiya, smetti di interrompermi ogni secondo,” troncò mio padre, per un
istante, “dunque la donna indiana spiegò che il serpente non aveva altri sintomi strani.
Guardò il veterinario sperando di ascoltare buone notizie. Il dottore le chiese se
ancora dormiva accanto a lei durante la notte.”
Mio padre fece un respiro e continuò: “La signora gli rispose di sì e di essere
affezionata a lui, ma quando il serpente si svegliava la seguiva con lo sguardo. Lei si
precipitava di corsa a servirgli da mangiare, ma lui non toccava il cibo!”
A questo punto rimasi meravigliata e confusa per il suo comportamento, ma non
interruppi mio padre. Volevo sentire fino alla fine il racconto.
“Il dottore invece sorrise e le spiegò che il serpente non era malato, ma si preparava
a divorarla. Ogni notte cercava di aggirarla, non per amore né per affetto. Cercava di
misurare la sua taglia in modo che lo stomaco potesse accoglierla comodamente, così
la avrebbe ingoiata al momento giusto. Il dottore si raccomandò seriamente di fare
attenzione e di liberarsene prima che fosse troppo tardi. Ecco, questa è tutta la storia.”
Spaventata, dissi: “Oh, che racconto orribile. Ne conosci il reale significato?”
“Hai ragione è davvero terrificante! Eppure accade in ogni momento e ovunque;
tra parenti, colleghi, amici e anche fra marito e moglie,” rispose.
Il sorriso di mio padre si spense, e posò una mano sul ginocchio: “Il suo significato
morale è molto interessante, perché vogliamo illuderci sempre di poter cambiare
coloro che ci circondano con l’amore. Potremmo avere successo a volte, ma c’è una
natura radicata in alcuni per i quali la carità non funziona e nemmeno l’amore,” mio
padre fissando la strada continuò, “avvicinarsi a loro è pericoloso. Questo vale anche
per le cattive compagnie! Najiya, il mio consiglio più grande è di capire i segnali, e
avere la forza per allontanarsi in tempo!”
Gli anni passarono, ma alcuni circoli viziosi continuavano a ripetersi.
La mia amica Dany mi raccontò di una sua cara amica che aveva sposato un uomo
molto affascinante, gentile, generoso, amabile, ma dopo il matrimonio si è rivelato un
perfetto manipolatore. Purtroppo lei era innamorata, ingenua, e priva di esperienza,
si affidava a lui in tutto, credendo di avere trovato la sicurezza e la fiducia che cercava.
Così cadde facilmente nella sua trappola e la sua vita diventò un inferno.
Ma riuscì a fuggire prima di essere sbranata!
Najada Jifi Bahloul