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Franco Gallo ed il “motto veneziano”: “pezo el tacón del buso”. Di Leone Melillo

Il recente articolo di Franco Gallo, dedicato alla legge n. 86 del 2024 ed al rischio di aumento delle disuguaglianze impone di riconoscere l’evidenza. Come chiarisce Roberto Calderoli, il “coinvolgimento del Parlamento”, la “garanzia dei diritti”, l’“equilibrio finanziario”, la “riduzione dei divari esistenti”, non possono “aumentare le diseguaglianze, frutto di un modello di accentramento che ha fatto il suo tempo”. Temi di ricerca condivisi anche con Edi Rama e Milva Ekonomi.

Una convinzione che si sofferma sulla riforma dell’autonomia di Roberto Calderoli, Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, ricalcando, ancora una volta, la riflessione che ho proposto in occasione del convegno “I soggetti e le azioni della politica nella storia del pensiero”. Un confronto animato da Robertino Ghiringhelli che, in quella circostanza, si soffermava su Gaetano Mosca, diradando alcune ombre dell’endiadi che vuole leggere il rapporto tra “diritto” e “politica”, vissuto e forse subito da Vittorio Emanuele Orlando, fondatore della scuola giuridica italiana di diritto pubblico.

Sembra, infatti, che – contrariamente a quanto taluni ritengono – Roberto Calderoli stia proponendo una prefigurazione di Vittorio Emanuele Orlando, che consente di «identificare nello Stato-persona il titolare della sovranità, l’espressione storica del “popolo organicamente considerato”, il soggetto legittimato a cogliere e dichiarare, sotto forma di legge, il diritto storicamente formatosi nella coscienza giuridica del popolo».

Lo stesso Vittorio Emanuele Orlando chiarisce ancora che “quando uno Stato positivo stabilisce il suo diritto, esso si muove entro limiti, predeterminati dalle condizioni svariate e complesse della coscienza giuridica del popolo”. Sono, in altri termini, la “coscienza giuridica del popolo” e le realtà ad esse connesse a “galleggiare nella storia” e non il “diritto”.

È questo il limite che indusse Orlando a “diffidare della Costituente” ed a proporre un “ordine del giorno”, “durante una seduta dell’Assemblea costituente”, “volto a eliminare dalla Costituzione, ovvero a contenere in un preambolo, le norme relative ai rapporti etico-sociali, alla famiglia, alla scuola, alla salute, all’arte e alla scienza”. Una proposta alla quale si oppose Costantino Mortati, «affermando così la forza del potere costituente, quel “terribile” potere che Orlando temeva e dal quale rifuggiva», perché «finiva con lo scardinare il suo metodo, i suoi criteri tecnici del diritto pubblico».

Orlando, in tal senso, anche nella prefazione che legge la Costituzione della Repubblica Italiana, dopo aver rammentato l’Imperatore Giustiniano, la «prodigiosa codificazione del suo “Corpus Juris”» e la “sua pretesa, di sopprimere ogni maniera di interpretazione obiettiva”, evidenzia come la “nuova Costituzione d’Italia ponga, appena nata, la questione categorica ed ardua” che chiede di “apprestare i mezzi”, “atti all’interpretazione di quella fonte di diritto”, “la più solenne, almeno formalmente, nella vita dei popoli moderni”.

Una valutazione avvalorata da una considerazione: “non è possibile pretendere di analizzare e interpretare mediante criteri giuridici la politica e mediante criteri politici il diritto costituzionale”.

Una possibilità negata, che consente anche di declamare “il senso della essenziale diversità di diritto e politica”. Un vizio genetico – già subito da Vittorio Emanuele Orlando nel segno della distinzione da Gaetano Mosca – subito oggi da Roberto Calderoli.

Senza dimenticare – come evidenzia sempre Vittorio Emanuele Orlando – che il “giurista” non è chiamato ad attardarsi sullo “Stato ottimo”, ma sullo “Stato” e sul “governo esistenti”, per cui “il cartesiano cogito ergo sum, applicato allo Stato, si trasforma in un iubeo ergo sum” e “lo Stato esiste in quanto comanda e vale in quanto ha la forza di far rispettare il suo comando”. Anche questo sembra un aspetto della nuova visione autonomistica.

Una riflessione risolutiva che sembra rammentare, anche ai detrattori dell’operato di Roberto Calderoli, il “motto veneziano”: “pezo el tacón del buso”. Lo stesso motto che il siciliano Vittorio Orlando rammentava all’Assemblea costituente.

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