Presentati i documenti annuali della Commissione europea che definiscono il percorso di adesione dei Paesi candidati. Bene Montenegro, Albania, Ucraina, Moldova e Bosnia Erzegovina, stallo per Macedonia del Nord, Kosovo e (come sempre) Turchia. Serbia in difficoltà, crolla la Georgia
Di – Federico Baccini Bruxelles
È un Pacchetto Allargamento che arriva nel momento più caldo per la politica dell’Unione europea nelle regioni coinvolte dal processo di potenziale accesso di nuovi Paesi membri.
Sono le settimane del referendum sull’integrazione europea in Moldova, dell’adozione delle Agende di riforma per il Piano di crescita dei Balcani Occidentali, delle tormentate elezioni in Georgia che stanno determinando pesanti strascichi a livello internazionale.
Dopo aver considerato tutti gli sviluppi – non a caso posticipando di due settimane il tema nell’agenda del Collegio dei commissari – il 30 ottobre la Commissione ha presentato il Pacchetto Allargamento 2024 , l’insieme di documenti che definiscono la politica sull’integrazione di nuovi possibili Stati membri.
“Oggi più che mai l’adesione all’Unione europea è una scelta strategica”, ha messo in chiaro l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, aprendo la conferenza stampa a Bruxelles: “L’allineamento con i valori dell’Ue, a partire dallo Stato di diritto, e con la Politica estera e di sicurezza comune è l’indicazione più significativa dell’orientamento strategico nel nuovo contesto geopolitico”.
Al suo fianco il più controverso commissario europeo all’Allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi, che per l’ultima volta ha sovrinteso i lavori della Commissione sui percorsi di adesione e le riforme richieste ai Paesi partner.
Sono sempre 10 i Paesi analizzati nel Pacchetto Allargamento, sia quelli ufficialmente candidati all’adesione (Albania, Bosnia Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina), sia i potenziali candidati (Kosovo).
Non sono poche le novità rispetto all’ultima edizione del 2023, sia in senso positivo – l’avvio dei negoziati con Kyiv e Chișinău, il via libera del Consiglio europeo a quelli con Sarajevo, i tavoli negoziali aperti per Tirana – ma anche negativo.
Non solo Belgrado, che rimane restia ad allinearsi alla Politica estera e di sicurezza comune, ma soprattutto la Georgia che, da quando ha visto a giugno il proprio processo di adesione “de facto” congelato, non ha smesso di seguire una strada sempre più preoccupante sul rispetto dello Stato di diritto.
Chi sale
Il Montenegro rimane il primo della classe, dopo che a giugno è stato confermato il raggiungimento dei parametri provvisori per i capitoli 23 e 24 (giustizia e diritti) sullo Stato di diritto, con lo scenario della chiusura provvisoria di altri capitoli – “se le condizioni sono soddisfatte” – sempre più alla portata. L’obiettivo di Podgorica è concludere i negoziati di adesione nel 2026 e attendere il 2028 per la ratifica del Trattato di adesione da parte degli Stati membri.
Dalla parte dei virtuosi c’è anche l’Albania, che ha aperto i negoziati su Cluster Fondamentali, il primo gruppo di capitoli dedicati a criteri economici, funzionamento delle istituzioni democratiche e riforma della pubblica amministrazione (5 su 33 totali). La Commissione esorta a “intensificare ulteriormente” le riforme sullo Stato di diritto, “consolidando i risultati ottenuti” nell’applicazione della legge, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata e nella promozione dei diritti fondamentali.
Continuano a viaggiare in coppia Ucraina e Moldova, la cui apertura dei negoziati a fine giugno “è stata un importante riconoscimento della determinazione a perseguire le riforme sulla via dell’adesione all’Ue”.
Per entrambe lo screening dell’acquisUe “procede senza intoppi”, e nel caso di Chișinău viene sottolineata la complessità per “le continue interferenze russe“. Se i due Paesi riusciranno a soddisfare tutte le condizioni richieste dallo screening, la Commissione potrà richiedere l’apertura della sezione Cluster Fondamentali “il prima possibile nel 2025”.
Nonostante le costanti criticità istituzionali la Bosnia Erzegovina “ha dimostrato risultati tangibili”, dall’allineamento alla Politica di sicurezza comune ed estera all’approvazione di leggi sull’integrità del sistema giudiziario, fino a uno dei temi più cari a Bruxelles: la gestione della migrazione.
Come seguito al via libera ai negoziati stabilito dai leader Ue a marzo, la Commissione sta ora preparando il quadro negoziale in vista dell’adozione da parte del Consiglio “nel momento in cui verranno adottate tutte le misure pertinenti” da Sarajevo, come stabilito dalla raccomandazione del 2022.
Chi scende
Il buco nero di quest’anno è la Georgia. Dopo l’ondata di speranza scatenata nel dicembre 2023 dallo status di candidato, il processo è stato congelato nei fatti a causa dell’intransigenza del governo su alcune leggi ben più che controverse (come quella sugli agenti stranieri).
A questo si aggiungono le “carenze” del processo democratico emerse durante le elezioni del 26 ottobre, che da una parte pongono la necessità di una riforma elettorale “completa”, e dall’altra confermano che il processo rimane bloccato – come annunciato dall’ambasciatore Ue in Georgia Pawel Herczynski – fino a quando il partito al potere non si riallineerà ai valori Ue.
Nonostante abbia soddisfatto i parametri per l’apertura del cluster 3 (competitività e crescita inclusiva), la Serbia quest’anno paga il fatto di “non aver dato seguito al lavoro di attuazione delle riforme” richieste dall’adesione Ue in nessun settore, in particolare sui parametri intermedi dello Stato di diritto. L’esortazione della Commissione è di garantire “un ambiente veramente favorevole” alla società civile e ai media, “compiendo sforzi credibili per bloccare la disinformazione e la manipolazione delle informazioni da parte dell’estero”. Vale a dire dalla Russia.
Anche la Macedonia del Nord – le cui sessioni di screening “per tutti e sei i cluster” dell’acquis Ue sono state completate nel dicembre 2023 – ha fatto negli ultimi messi passi indietro per quanto riguarda le riforme legate ai fondamentali, che non le hanno permesso di continuare la strada congiunta con l’Albania verso l’adesione. Le preoccupazioni riguardano soprattutto il sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e la criminalità organizzata.
Non è una vera bocciatura, per il Kosovo si tratta più di un costante stallo da quando ha presentato la richiesta formale di adesione nel dicembre di due anni fa: se da una parte la Commissione si dice “disponibile a preparare un parere” sulla domanda, questo potrà essere fatto solo “non appena il Consiglio lo richiederà”.
Cinque Paesi membri Ue non riconoscono l’indipendenza di Pristina (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e questo al momento rappresenta uno scoglio insuperabile. Nel frattempo la Commissione raccomanda di “intensificare gli sforzi” per rafforzare lo Stato di diritto e la pubblica amministrazione e per proteggere la libertà di espressione, mentre sono stati compiuti progressi nella lotta alla criminalità organizzata e nel contesto imprenditoriale.
La Turchia vede i negoziati di adesione sempre fermi dal 2018, con “gravi preoccupazioni” nei settori dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto, “compresa l’indipendenza della magistratura”. Da aprile gli orientamenti strategici del Consiglio hanno permesso di riavviare “gradualmente” le relazioni con Ankara “su questioni di interesse comune”, ma questo non tocca il tema di una possibile futura adesione.
Nella foto di copertina Josep Borrell e Olivér Várhelyi – © Commissione europe