Di Alessandro Zorgniotti
Quando, il 9 dicembre 2014, per la prima volta nella mia vita, sono arrivato a Tirana, la prima passeggiata mi ha portato nel “centro italiano” della Capitale albanese: un agglomerato urbano di cui avevo sentito parlare e letto in molti articoli e interventi in Italia, discorrendo con amici e colleghi e osservandone le foto sia d’epoca che attuali, quindi il mio itinerario di “battesimo”, chiamiamolo così, partì da piazza Skanderbeg per attraversare tutto il Bulevardi Desmoret e Kombit fino alla ex Casa del Fascio oggi sede universitaria pubblica.
In quei giorni, le Istituzioni italiane stavano promuovendo una serie di iniziative proprio per far conoscere al grande pubblico le solide testimonianze urbanistico architettoniche dell’Italia nel cuore di Tirana (e degli altri Centri urbani albanesi), e una di queste rassegne faceva riferimento all’architetto Bosio (collega di quel Berté che progettò il Teatro sorto come Circolo italo – albanese binazionale), quindi agli anni Trenta dello scorso secolo.
Nel secondo giorno dal mio arrivo nel Capitale d’Albania, con piacere scoprii la “pedonalia” di Via Toptani (non esisteva ancora, nella sua versione compiuta, l’attuale megacentro commerciale multipiano che avrebbe in parte stravolto il volto storico della strada dove si affacciano il Parlamento e l’Accademia delle Scienze altre due costruzioni storiche) e le due facciate gemelle del Teatro Nazionale e di quello Sperimentale: due edifici che si integrano con i palazzi ministeriali del Bulevardi principale e ne rappresentano il naturale proseguimento in termini di continuità urbanistica.
Voglio essere chiaro ma non per questo necessariamente polemico: non potrei immaginare quella parte di Città privata dei suoi due edifici teatrali “gemelli”, sostituiti da un avveniristico “Papillon”. Sarebbe la definitiva venuta meno della vocazione italiana di quel lato di Via pedonale che porta al centro commerciale Toptani e che farebbe assomigliare Tirana a tante, troppe altre Città private del loro centro caratteristico.
Come se privassimo Torino, mia città di nascita, di quella parte di via Roma fatta edificare dal regime fascista a tempo di record per l’arrivo del Duce quando inaugurò lo stabilimento della Fiat. Nulla sarebbe più come prima.
E nulla rischia di essere più come prima anche a Tirana. Premetto che solo nelle ultime settimane ho seguito, da cittadino prima ancora che da giornalista, la vicenda, in particolare quando ho visto sui vari canali TV locali i volti, con un po’ di capelli bianchi e di rughe, degli attori dello storico Kinostudio comunista – dei cui film neo-realistici sono diventato incallito spettatore sul web – schierarsi in difesa del Teatro Nazionale (Kombetar) italiano che, dopo la riqualificazione di piazza Skanderbeg, è diventato il cuore della vita mondano-culturale del centro della Capitale d’Albania.
Ho sentito e letto le motivazioni più disparate alla base del progetto governativo albanese di abbattimento: dai motivi di salute e di sicurezza (legati a presunta presenza di amianto piuttosto che ai materiali di costruzione degli edifici stessi) alla circostanza che il Teatro attuale non avrebbe grandissimo valore storico-culturale fino alla rassicurazione che Tirana non perderà il proprio connotato filo-italiano dal momento che sia il nuovo piano urbanistico sia il futuro stadio nazionale (altra testimonianza italiana rasa al suolo) di piazza Italia, alla fine del Bulevardi, portano la firma di due grandi “archistar” del BelPaese, uno dei quali di cognome si chiama Boeri.
Voglio essere sincero e parlare con il cuore prima ancora che con la ragione: non mi sento e non mi sentirò maggiormente Italiano all’estero, per la precisione in Albania, soltanto grazie a un piano regolatore firmato da qualche “archistar” – di cui non discuto sia chiaro la bravura – e attraverso il quale assisteremo, perché così sarà, alla moltiplicazione, benitenso per certi versi necessaria onde evitare il consumo orizzontale di suolo, di grattacieli e torri di vetro uguali in ogni parte del mondo occidentale.
Mi sento cittadino italiano, oltre che del mondo, quando vedo che, nel necessario rispetto delle culture locali – non rappresentate di certo dagli ennesimi cubi di vetro e cemento –, le testimonianze della civiltà italiana – sopravvissute a una Guerra mondiale e a una delle più terribili dittature rosse dell’Europa – vengono vissute dalla Cittadinanza di Tirana come una parte della propria vita sociale, e la mobilitazione, non soltanto politica ma civica e artistica, alla quale si sta assistendo in difesa del Teatro Kombetar è lì a dimostrarlo.
Forse, anche a livello istituzionale, la Comunità sociale e istituzionale italiana in Albania ha perso un’altra occasione per … non restare in silenzio. Le autorità del governo albanese – Stato e Municipio – fanno il proprio lavoro di decisori politici e pubblici sul quale verranno giudicate nelle varie sedi amministrative e politico-elettorali; ma c’erano altri che dovevano uscire dall’assordante silenzio, silenzio rotto soltanto dagli applausi (consolatori?) a qualche “archistar”.