L’Editore Ensemble porta per la prima volta in Italia una delle voci più significative e nuove del panorama letterario albanese odierno, Rezart Palluqi. Lo fa con il suo ultimo romanzo 193 Gabbie(tradotto da Iris Hajdari), presentato a dicembre 2016 durante la Fiera romana della piccola e media editoria Più libri più liberi.
Nonostante l’Albania sia così vicina all’Italia, poco ancora si conosce della sua letteratura nel nostro Paese. Mentre il resto d’Europa risorgeva dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, a partire dagli anni Cinquanta la dittatura imposta da Enver Hoxha in Albania segnava fortemente tutta la produzione letteraria nazionale. E tali segni sono arrivati fino a noi.
Rezart Palluqi si colloca in pieno in questo scenario: la sua opera è la storia della sua generazione, nata sotto il regime di Hoxha, scappata in altri paesi alla ricerca di una vita migliore, ma che continua a vivere anche a distanza di decenni, nel presente, il dolore, la tragicità e le speranze deluse del post-comunismo.
Questa è la storia del suo Ylli: costretto a emigrare nei Paesi Bassi da bambino assieme alla madre dopo che il padre era stato sequestrato dal Sigurimi, la polizia segreta albanese, in quando sospettato di essere un traditore per aver utilizzato un binocolo per scrutare il cielo.
Il trauma della sparizione del padre e della successiva fuga accompagnano Ylli per tutta la vita: poteva il genitore essere stato portato via solo per “una maledetta stella”?
Ad Amsterdam il protagonista cresce adattandosi passo dopo passo alla nuova vita, frequentando una scuola professionale per cuochi e scrivendo poesie. Le vecchie paure e inquietudini però sembrano non abbandonarlo mai, e crescono con lui. Ylli maledice la sua mente che vaga ogni giorno senza meta scrutando il cielo e ripropone sempre gli stessi sogni: le bandiere, il padre che usava un binocolo per guardare le stelle, la precipitosa fuga dall’Albania verso la speranza di un mondo migliore. La sua anima fragilissima e inquieta condiziona ogni aspetto della sua vita e cerca riparo – inutilmente – ina una terra che non è la sua.
Negli anni della giovinezza olandese Ylli incontra Zhaneta, anche lei emigrata albanese, su cui riversa la sua fragilità, le sue ossessioni e a tratti i suoi sentimenti sessuali e sadici.
Il legame con Zhaneta si stringe a doppio filo anche a seguito di un secondo forte trauma: l’uccisione, proprio per mano della ragazza, di un uomo albanese che come Ylli cercava il padre, fatto sparire dalla polizia albanese.
La ragazza, che diventerà poi sua moglie e madre di suo figlio, non solo è una psichiatra, ma si scopre essere anche la primogenita dell’ex capo della polizia segreta albanese durante il regime. In Ylli brucia quindi il desiderio di utilizzare la famiglia della donna per scoprire qualcosa di più su ciò che è davvero successo al padre: può essere questa la volta buona per fare luce sul mistero più grande e ossessionante della sua vita?
Il romanzo di Palluqi mostra le due facce di una stessa medaglia: egli riesce, da un lato, a farci conoscere, seppur nella finzione di un romanzo, l’atrocità e l’omertà della dittatura di Hoxha, che hanno continuato ad esistere e ad influenzare le vite di molti albanesi anche a decenni dalla caduta del regime; dall’altro, quasi come conseguenza del primo, a scavare nel profondo psicologico di chi ha vissuto quel momento storico direttamente o indirettamente, e mostra ai lettori il risultato traumatico di tutto ciò: vivere per sempre la propria vita dentro una gabbia.
Ogni aspetto della vita di Ylli è una gabbia: Zhaneta è una gabbia, perché è una moglie ambigua e inattendibile, il suocero è una gabbia, la sua famiglia è una gabbia, Amsterdam è una gabbia, il tempo che passa e che non restituisce la verità è una gabbia. E, sopratutto, l’Albania è per lui una gabbia, lontana ma infrangibile, la più opprimente di tutte.