Di Carlo Alberto Rossi, Exit.al
La notizia ce la fornisce Shqiptarja.com raccontando di una copia di sposi che si reca a Kallm, un villaggio sulla costa a nord di Durazzo, per fare foto e videoclip in abiti nunziali, e che viene bloccata da un personaggio locale che pretende di essere pagato, in quanto proprietario dei luoghi, per consentire loro di fare le foto. Argutamente il portale titola il pezzo: “A Kallm salta fuori il padrone del mare”.
La lettura di questa notizia, in se quasi trascurabile, mi ha invece suscitato un fiume di ricordi, di situazioni vissute, di provocazioni, e di riflessioni, pure in contrasto tra loro, che brevemente vi riassumo.
- Il trauma insanabile
L’immagine di un nerboruto ed energico umanoide con meno di tre classi di scuola che intimidisce una coppia di giovani sposi millantando immaginari diritti di proprieta’ e’ stato un deja vu crudele, chi mi ha fatto rivedere come in un film la storia del fallimento della transizione albanese, un quarto di secolo di soprusi, pretese, invasioni, occupazioni, minacce, strilli, prepotenze, discussioni infinite, avvocati incapaci, azzeccagarbugli fraudolenti, giornate e settimane sprecate, imprese e speranze distrutte, tutte con un unica causa di fondo: lo sfruttamento o l’acquisizione della proprieta’, propria o altrui, e dei diritti ad essa collegati, concepiti smodatamente e unilateralmente applicati da violenti rivendicatori di diritti, per nulla condizionati dalle leggi scritte o dal buon senso. Il tutto ampliato dalla sproporzione tra i valori immobiliari, sempre molto alti, e il costo del tempo, praticamente nullo per chi non aveva nulla da perdere.
Praticamente ogni albanese in questi anni della transizione infinita ha avuto, o meglio ha subito, una storia di conflitti di proprieta’, con i vicini, con i parenti, con i vecchi colleghi di lavoro, con temerari della falsificazione di documenti, con lo stato e i suoi uffici incapaci di proteggerti ma sempre capaci di produrre un documento inopportuno a vantaggio dei tuoi aguzzini.
Anche questo ha provocato traumi insanabili in gran parte della popolazione albanese, e il senso di insicurezza provocato dalla lunga e insana dittatura si e’ andato implementando in una insicurezza totale e profonda proprio su quello che era il simbolo dei diritti negati dalla dittatura: la proprieta’ privata. La paura della sua violazione ha immediatamente creato nuovi mestieri e nuove opportunita’ di business, dalle guardie che vegliavano (ma piu’ spesso dormivano) su campi e ruderi inabitabili, agli installatori di porte blindate e di inferriate, arrivate ben prima che i furti nelle case fossero un pericolo reale.
Qualcuno pero’ ci ha marciato e della prevaricazione, della rivendicazione di diritti immaginari ne ha fatto una professione lucrativa, un metodo, come il padrone del mare.
- Ferocia vendicatrice o rassegnazione?
La mia prima irosa reazione alla lettura della notizia e’ stata un desiderio insano di punizioni corporali, di sterilizzazione della discendenza del padrone del mare, di alienazione perpetua del loro diritto di possedere alcunche’, poi i commenti molto piu’ pacati di tanti amici albanesi mi hanno fatto intravvedere la ormai raggiunta normalita’ della cosa: questo fenomeno si chiama assuefazione alla violenza come strategia difensiva, appunto per non impazzire.
- Il mare e’ di Dio
Il mare e’ storicamente percepito come di tutti, al massimo, come proprieta’ dello stato, ma comunque, essendo spesso il confine stesso dello stato, nella sua forma liquida e instabile, mai si e’ prestato ad essere considerato come una cosa che si puo’ possedere, che puo’ essere di qualcuno.
Il mare e’ da sempre, e per tutti, sinonimo di liberta’, di infinito, di ignoto, concetti che mal si sposano al concetto di proprieta’ privata.
Solo un arido, micragnoso, terragno, ignorante e protervo contadino, ossessionato allo stremo dal senso di proprieta’, puo’ pensare che il mare sia suo.
- Il senso di proprieta’ come malattia sociale
Dalla fine del comunismo l’intero popolo albanese si e’ scatenato in una corsa forsennata alla proprieta’ privata, da molti intesa come recupero dei diritti soppressi ingiustamente dal comunismo, ma per molti diventata una vera e propria ossessione. Essere proprietari di qualcosa, e poi fantasticarne un valore sempre piu’ grande, e’ diventata una specia di malattia sociale che sta portando il paese ad un punto di non ritorno. La fame di proprieta’ ha scatenato la produzione di false documentazioni, corruzioni ad ogni livello, sentenze pilotate, falsi atti di successione, e ogni altro genere di imbroglio, che andandosi a sovrapporre a leggi mal pensate e peggio applicate hanno creato ogni genere di conflitto, spesso degenerato in fatti di sangue. Nelle menti piu’ deboli e nei corpi piu’ robusti la fame di proprieta’ ha prodotto spesso tendenze come quella del padrone del mare, in crescenti deliri di “tutto mio, tutto mio”, spesso senza alcuna base legale, che pero’ hanno costituito spessissimo causa di abbandoni di investimenti, albanesi o stranieri che fossero. La scarsa affidabilita’ dei documenti catastali, e la volatilita’ dei confini reali hanno spesso spinto chi voleva essere proprietario a difendere fisicamente il suo titolo recintando il suo terreno con alti muri o costruendoci inutili edifici per “confermare” il titolo di proprieta’, altrimenti caduco o attaccabile. I principali criminali albanesi si sono specializzati in questioni di proprieta’, sia offrendosi come “persuasori” per allontanare altri contendenti, sia come braccio armato capace di convincere i giudici o i commissari delle apposite commissioni per il ritorno delle proprieta’ confiscate dal comunismo.
A volte mi viene il dubbio che Enver Hoxha, non riuscendo a costruire un modo giuridico e amministrativo per contenere le pressioni all’arricchimento indebito, abbia deciso di abolire la proprieta’ privata come extrema ratio per ridurre la corruzione e la gelosia che gia’ allora minava la societa’ albanese.
- Avere o essere?
Pensate al “padrone del mare”, e ricorderete almeno per un attimo quel celebrato sociologo di sinistra che risponde al nome di Erich Fromm, e la sua importante analisi della differenza tra l’avere e l’essere, come differenti metodi di sviluppo della propria esistenza, o piu’ semplicemente, come due metodi alternativi di ricerca della felicita’.
Non c’e’ governo di sinistra che tenga, in Albania oggi la risposta e’ una sola, corale e obbligatoria: avere e’ tutto, se non possiedi qualcosa, nemmeno sei un uomo, e la ricerca o la tutela della proprieta’ da sola giustifica ogni mezzo, ogni comportamento, ogni azione.
Solo la recente escussione delle ipoteche bancarie, non a caso a lungo osteggiate dall’intero sistema giudiziario albanese, sta facendo vacillare il sistema di certezze cristalline sulla illimitata potenza della proprieta’, peraltro aprendo ferite sociali difficili da rimarginare.
- Il catasto orale: tutti bejler
In Albania negli anni trenta la proprieta’ fondiaria era principalmente detenuta da un ristrettto numero di grandi famiglie latifondiste che singolarmente dominavano appezzamenti da molte migliaia di ettari, e che presumibilmente ne avevano tramandato la proprieta’ come dotazione nobiliare dai tempi dell’Impero Ottomano. Queste famiglie erano anche le protagoniste della vita politica e inevitabilmente vennero accusate di collaborazionismo ed espropriate di ogni bene dal regime comunista, ma molti di loro fuggirono all’estero dove potevano contare su altre proprieta’ e su altre sicurezze. Al crollo del regime comunista i discendenti di quelle grandi famiglie, avvalendosi di risorse finanziarie portate dall’estero, si diedero da fare per recuperare case e terreni che il comunismo aveva sottratto loro, ma nel frattempo erano passati cinquant’anni e i soggetti espropriati, tra mogli e concubine, avevano lasciato abbondante progenie, che a sua volta si era abbondantemente riprodotta sia in Albania che all’estero. Cosi’ poche decine di grandi proprietari divennero migliaia di pretendenti, ognuno avanzando pretese verbali per migliaia di ettari, cioe’ per l’intero asse ereditario della famiglia. La legge di allora limitava il diritto alla restituzione della terra agricola a poche migliaia di metri quadrati per ogni famiglia, ma presto la confusione e’ diventata totale e una serie di atti successivi ha snaturato il processo di restituzione, spesso danneggiando i diritti di alcuni a dispetto di altri, con una serie di abusi, di sovrapposizioni di confini, di migrazioni dei riferimenti di un catasto, quello turco, piuttosto impreciso, con la presentazione nei tribunali di vecchi atti di proprieta’, magari veri, ma superati da successive cessioni di cui si era cancellata la memoria, creando una diffusa se non generalizzata sensazione di subita ingiustizia, con il risultato di aggravare ulteriormente la “fame di proprieta’”. Il veloce arricchimento sostanzialmente esentasse di chi aveva potuto acquisire titoli di proprieta’ nelle terre attorno a Tirana, presto oggetto di speculazione edilizia, ha fatto il resto, creando un mito urbano non piu’ estirpabile e nemmeno contenibile: proprieta’ fondiaria uguale ricchezza illimitata e rendita assicurata.
Un “pronar” non lavora, solo controlla (e difende) la sua proprieta’, e magari cerca di accrescerne la dimensione, allargandosi alle prossimita’, come il padrone del mare.
Altre considerazioni sul padrone del mare e sul concetto di proprieta’ in Albania seguiranno nei prossimi giorni.