Home Approccio Italo Albanese Il Turco a Valona e la lezione storica e politica di Otranto

Il Turco a Valona e la lezione storica e politica di Otranto

di Carlo Alberto Rossi, Exit.al

Mentre, con un curioso ossimoro politico, il governo albanese proclama il 2018 l’anno di Skanderbeg, da noi noto come difensore della cristianita’, le avanguardie turche, solo apparentemente piu’ commerciali che politico-militari, sotto la guida di quell’Erdogan di fatto recentemente assurto a nuovo sultano neo-ottomano, ricompaiono a Valona sotto forma di investitori privati per realizzare il nuovo aeroporto internazionale.

Infatti il governo albanese si appresta (con una inusuale procedura accelerata) a dare la concessione della costruzione e della gestione dell’aeroporto internazionale di Valona, da costruirsi nella ex base dell’aeronautica di Pish Poro, ad un consorzio di grandi imprese turche, tutte note per essere vicinissime a Erdogan e gia’ coinvolte in altri importanti affari con il governo turco e con quello russo.

Proprio da Valona, nel 1480, e in particolare dalla base navale turca oggi chiamata Pashaliman (il porto del Pascia’), sotto il comando del condottiero Gedik Ahmet Pascia’, salpo’ la flotta turca che espugno’ Otranto e ne decapito’ tutta la popolazione maschile che aveva rifiutato di abiurare la religione cristiana.

Quel fatto lontano rieccheggia nella memoria cristiana e in quella italiana, perche’ allora si temette che il Sultano stesse per conquistare Roma, allora come oggi obiettivo predestinato di ogni belligerante islamico. Gli 800 decapitati di Otranto vennero proclamati santi, i vari staterelli in cui era divisa l’Italia di allora si riunirono (non senza problemi e defezioni) in una alleanza militare, e in qualche modo il Turco fu’ respinto e Otranto liberata, ma la paura che il Turco arrivasse a Roma rese indelebile il ricordo del fatto.

Dopo piu’ di 500 anni, ancora una volta, anche se questa volta camuffato da civile, il Turco si rimette in movimento per riprendere il controllo delle terre balcaniche e allungare la sua ombra sull’Europa.

Per decenni l’Europa ha considerato la Turchia come un alleato affidabile, come il vero pilastro a sud-est della Nato, al punto di offrirle, piu’ per interessata mano americana che per sincera volonta’ europea, di entrare nella Comunita’ Europea, ma la stabilita’ di quell’alleato aveva una chiave di sicurezza, il controllo ultimo in mano ai militari kemalisti, che la recente e fallimantare leadership americana ha letteralmente buttato senza comprenderne la fondamentale importanza.

Adesso il nuovo sultano neo-ottomano, liberatosi dal giogo dei militari kemalisti, si permette, senza alcuna reazione americana, di acquistare sistemi d’arma dai russi e di schiacciare sotto i cingoli dei suoi carri armati i piu’ fedeli alleati degli americani nella regione, i peshmerga curdi.

Contemporaneamente un sistema di affari, ufficialmente privati ma condizionati direttamente dal sultano, diffonde la sua rete nei paesi dell’ex-impero ottomano, investendo le tangenti del sultano in una specie di suo impero personale, nel quale non poteva mancare l’Albania di Edi Rama, troppo interessato sia ai soldi turchi che a rendere visibili le sue minacce all’Europa per estorcerne l’inizio dei colloqui di adesione, comunque sempre molto utili al consenso interno.

L’Italia dell’aeroporto di Valona se ne era fatta promotrice gia’ alla fine degli anni 90, quando un gruppo di imprenditori sotto la guida di Cristina Busi cerco’ invano di trasformare in un aeroporto civile proprio la base di Pish Poro con quella pista d’atterragio lunga 1400 metri appena ricostruita con i soldi del contribuente italiano dalle forze armate italiane della missione DIE nel 1998 – 2000.

Ora pero’, apparentemente priva di una politica chiara, e forse pure di una capacita’ operativa e finanziaria, l’Italia assiste impotente, sia sul piano politico diplomatico che su quello del business: la manifestazione di interesse per la stessa concessione presentata da una aziende italiana nemmeno e’ stata presa in considerazione.

Pero’ la storia insegna che chi non ha la vera forza ricorre alle chiacchiere, e cosi’ tra due settimane, ancora una volta con tempismo perfettamente funzionale alla propaganda del regime albanese, l’Italia millantera’ una “missione di sistema” esibendo tutte insieme duecento imprese italiane pronte ad investire in Albania, presentando come potenziali salvatori dell’economia albanese un coacervo di improbabili consulenti, di venditori di cacioricotta, o di altri percettori di finanziamenti pubblici.

Ancora una volta i governanti albanesi, annoiati, fingeranno interesse e considerazione ma, al termine dei rinfreschi e delle uscite stampa utili alla propaganda di regime, torneranno a dedicarsi ai loro nuovi obbiettivi, turchi, arabi, russi e cinesi.

Gia’ nel lontano 1480 si era capito che, per difendere gli interessi italiani dal Turco invasore, era necessario riunire gli eserciti e le navi delle tante piccole potenze locali in cui era divisa l’Italia, per creare una forza vera, non solo per affollare un convegno.

La differenza e’ che allora, con i turchi che scorrazzavano e saccheggiavano impunemente tra Otranto e Brindisi, i baresi se ne stavano zitti e impauriti, mentre adesso, erroneamente pensando che il mondo sia tutto e solo chiacchiere, hanno deciso di contrastare il Turco cantando in un coro diretto da un maestro con il contratto scaduto.

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