Di Carlo Alberto Rossi
Il nome di Tito Schipa in Albania e’ conosciuto solo tra i melomani, e anche in Italia non e’ molto presente nella memoria collettiva, ma si racconta che in America durante una visita ufficiale un personaggio leccese, per spiegare da dove venisse, abbia detto al suo interlocutore locale: “Sono di Lecce, la citta’ di Tito Schipa” ottenendone immediatamente il riconoscimento, la simpatia e l’attenzione.
Raffaele Schipa, detto “Tito”, e’ un cantante d’opera di origini arberesh, nato a Lecce nel 1888 e diventato presto il piu’ affermato “tenore di grazia” mondiale nel periodo tra le due guerre. Per i non addetti ai lavori il “tenore di grazia” e’ tra i ruoli maschili di “tenore” quello con la gamma vocale piu’ alta, destinato quindi a colpire il pubblico grazie ai suoi acuti inavvicinabili per tutti gli altri cantanti dell’opera.
La figura di Tito Schipa e’ stata spesso ingiustamente trascurata in Italia anche per via di una vita “controcorrente”, piena di cambiamenti e rotture, migrazioni professionali e relazioni amorose, accuse politiche e qualche astuzia professionale.
La storia della sua vita e’ molto “albanese”, dal suo nome di famiglia, derivato direttamente dalla italianizzazione della radice “shqipe” a ulteriore dimostrazione della sua discendenza da una famiglia arberesh, al suo continuo migrare tra Europa, America e Sud America in cerca del successo, ai successi che gli diedero fama mondiale prima al Civic Opera di Chicago e poi al Metropolitan Opera di New York dove prese il posto di Beniamino Gigli, al suo essersi cimentato come attore cinematografico a Hollywood, girando 10 film, di cui uno, “Tre uomini in frac”, con i fratelli Eduardo e Peppino De Filippo a fargli da spalla nel loro esordio cinematografico nel 1932, e alle sue inarrivabili incisioni della canzone napoletana ancora oggi ascoltate (e collezionate) in tutto il mondo, al fatto di parlare quattro lingue e di cantare in undici lingue (“Dodici con il napoletano”, diceva lui) fra cui addirittura la lingua degli aborigeni australiani, alla sua grandiosa esuberanza e generosita’ dimostrata quando all’apice del successo alla fine degli anni ‘20 cofinanzio’ alla pari con il Comune di Lecce la creazione di un Liceo Musicale, oggi diventato il Conservatorio di Lecce che ancora porta il suo nome, al suo coinvolgimento nel fascismo quando rientro’ in Italia dall’America a fine anni ’30 anche a causa della sua amicizia d’infanzia con il gerarca Achille Starace, alle accuse di collaborazionismo con il fascismo che lo emarginarono nel secondo dopoguerra, per finire all’opposto alle accuse di collaborazione con il comunismo per essere stato Presidente di Giuria di un concorso lirico in Unione Sovietica nel 1957, con la conseguente cacciata dall’America a causa del maccartismo.
Una vita da vero albanese, poliglotta giramondo, con molti alti e bassi, con grandi successi e cadute in disgrazia, con denaro, lusso e donne, capace di cantare in America per Al Capone come a Roma al matrimonio di Umberto e Maria Jose’ di Savoia, con un continuo mettersi in prova, e rompere gli schemi.
Ma l’albanesita’ per Tito Schipa e’ sempre stata una questione di orgoglio, di appartenenza antica, mai negata, anzi costantemente rivendicata, e lo dimostra la bellissima foto della sua ultima compagna Diana Parodi (al secolo Teresa Borgna) in costume albanese, scattata in Albania nel 1959.
Da un punto di vista professionale Tito Schipa e’ considerato il piu’ grande “tenore di grazia” mai esistito, ma deve gran parte della sua fama e della sua longevita’ artistica ad una tecnica raffinatissima con la quale suppliva ad una certa limitazione del volume e dell’estensione, e al fatto di aver interpretato sempre poche opere, tra cui il “Werther”, la “Traviata” e “L’elisir d’amore” e di essersi dedicato molto ai recital, in particolar modo della classica canzone napoletana, con le incisioni di “Era de maggio”, “Mandolinata ‘a napule”, “Marechiare”, “Core ingrato”, ancora oggi confrontate con successo con le principali interpretazioni dei grandi tenori contemporanei.
Ma la sintesi della storia artistica e umana di Tito Schipa sembra essere la canzone “Vivere” di Cesare Andrea Bixio, da lui interpretata nell’omonimo film, e in seguito riproposta da Beniamino Gigli, Luciano Tajoli, Claudio Villa, Enzo Jannacci e infine da Luciano Pavarotti.
Tito Schipa e’ dunque una memoria e un elemento di collegamento storico e culturale tra Italia e Albania, e ancora di piu’ tra Albania e Salento, e infatti nel Conservatorio di Lecce che porta il suo nome, e che lui contribui’ a fondare, continuano a studiare tanti talenti musicali albanesi, e proprio da quel Conservatorio, sotto l’illuminata Presidenza dell’On. Biagio Marzo e l’instancabile tessitura dell’On. Nicola Ciraci’ stanno nascendo importanti operazioni culturali italoalbanesi di cui vi parleremo un’altra volta./exit.al