L’esperienza di Albert Jaku, cittadinanza italiana e origini albanesi, tornato a Tirana come responsabile di filiale di V2 importante polo industriale domotico.
“Il prodotto che arriva già finito dall’Italia paga fin da subito un 20% di Iva, mentre portando qui materie prime, semilavorati e impianti conformi all’UE si può produrre e finalizzare all’export senza dover subire tale imposta”
Esportare in Albania un prodotto finito proveniente dall’Italia? Si può fare, e senza la necessità di consultare i numeri delle statistiche ufficiali sulla bilancia commerciale estera della Repubblica Albanese – vale a dire, la differenza fra le importazioni e le esportazioni – basta visitare qualsiasi supermercato o centro commerciale di Tirana o delle principali Città per rendersi conto dell’offerta di prodotti finali Made in Italy, soprattutto nel settore Food ma non solo, e quindi della particolare preferenza accordata dal consumatore medio e dalle famiglie che fanno la spesa in Albania, quelle che possono contare su salari migliori e su un lek rafforzato rispetto all’euro.
Questo non deve però far passare in secondo piano un altro dato: mentre, per quanto riguarda i prodotti finiti che arrivano alla soglia della Dogana Albanese, l’Italia deve confrontarsi con altri competitors dell’Unione Europea non meno agguerriti (Germania in primis), pur rimanendo il primo partner ufficiale del Paese delle Aquile, e le sue piccole e medie imprese hanno delle difficoltà in più a entrare sul mercato balcanico, il discorso cambia radicalmente se la scommessa italiana si gioca sul terreno della produzione diretta realizzata in Albania.
Su questo secondo versante, l’economia italiana – compresa quella delle piccole e medie imprese PMI – non avrebbe rivali e potrebbe contare su importanti vantaggi dal punto di vista fiscale e doganale.
A fare riferimento a questi ultimi è Albert Jaku: giovane lavoratore autonomo albanese che, dopo quasi vent’anni trascorsi in Italia, ha scelto, nel mese di aprile di quest’anno, di fare rientro nel Paese delle Aquile – “Da cittadino Italiano”, tiene a precisare con orgoglio – per assumere l’amministrazione della Filiale locale di V2, importante gruppo tecnologico del Piemonte leader nell’industria elettronica per la casa.
Intervistato dal corrispondente Artur Nura ai microfoni di Radio Radicale, Albert spiega – ai colleghi imprenditori e lavoratori autonomi tuttora presenti in Italia – le opportunità economiche di una presenza “non solo commerciale ma anche produttiva in Albania”.
“L’Albania si trova nella situazione ideale, che tuttavia non sarà eterna, di un Paese non ancora facente parte dell’Unione Europea, quindi con delle normative autonome e più agevolanti dal punto di vista dei costi produttivi e fiscali, ma che con la Comunità Europea ha già siglato degli accordi importanti per quanto riguarda il libero scambio e il riconoscimento delle certificazioni UE”, premette.
Quali sono questi accordi, è presto detto, e la differenza di costo fiscale – per un operatore economico italiano – fra il semplice atto di esportare e il progetto di produrre sul posto appare in tutta la sua evidenza.
“Se un imprenditore italiano decide di limitarsi a svolgere una semplice attività di esportazione dall’Italia, portando qui in Albania il prodotto finito, deve da subito pagare l’Iva al 20% sul valore totale compresi i costi fino a quel momento sostenuti, più gli eventuali diritti doganali e le accise a seconda dell’appartenenza settoriale del prodotto. Se invece – sottolinea Albert – l’intenzione diventa quella di realizzare direttamente qui la produzione, utilizzando materie prime, semilavorati e impianti inviati dall’Italia per essere lavorati e utilizzati in Albania, questi beni, in possesso della certificazione EUR 1 da esibire alla Dogana Albanese, permettono il solo pagamento di una quota simbolica, nell’ordine dell’uno per cento, e l’esonero dai costi doganali altrimenti dovuti”.
Piatto forte finale, sia che si tratti di prodotti Food o anche non alimentari: “I prodotti così realizzati in Albania, e destinati ai mercati esteri, europei e internazionali, sono fuori campo IVA”, sottolinea Albert.
Chiaramente, il momento più favorevole è quello attuale, anche se si protrarrà ancora per alcuni anni, “ma ogni eventuale decisione va presa ora”.
Accanto alle facilitazioni fiscali e doganali, l’accensione di una Partita Iva prevede l’applicazione di una “flat tax” ad aliquota progressiva dallo zero al 15 per cento massimo sul risultato economico utile finale. In Italia si inizia a parlarne solo ora, a 70 chilometri dal Belpaese è già una realtà.
“Nessuno di noi intende fare finta che i problemi non esistano, tuttavia abbiamo la fortuna di relazionarci con l’Albania che è un Paese filo Italiano per eccellenza, e anche se qualche volta possono esserci dei problemi in campo economico, la disponibilità e il sorriso delle persone che ti stanno intorno non mancano mai”, sottolinea Albert ricordando che “questa situazione non è molto diversa da quella dell’Italia prima del lungo periodo della crisi ancora attuale, e oggi l’eccellenza italiana, apprezzata in tutto il mondo come stile e come modello di qualità, risente sul proprio mercato interno di questi fattori psicologici e motivazionali”.
Mentre in Albania, definita fino alla prima metà del Novecento “una Regione italiana”, “questi fattori ambientali, materiali e psicologici, sono rimasti intatti e consentono lo slancio delle attività produttive di stile italiano”.
Anche sulla vicenda “informalità” non bisogna cedere al facile pessimismo o pregiudizio: “Problemi esistono in ogni sistema Paese, e chi fa impresa lo sa – sottolinea Albert – Va detto prima di tutto che l’Albania, che nel 1991 è uscita da quasi cinquant’anni di isolamento politico e socio-economico, e quindi non era pronta ad accogliere questo grande flusso di investimenti dall’estero, dal punto di vista psicologico e amministrativo. Questo non toglie che negli ultimi anni sono stati compiuti dei passi molto importanti dal punto di vista della trasparenza amministrativa e degli accordi con l’Unione Europea che hanno eliminato molte delle incertezze di prima. Importante è appoggiarsi alle persone giuste, come è logica fare in situazioni di mercati emergenti e in forte espansione”.
Infine il costo del lavoro diretto e indiretto. “Consideriamo il caso di un operaio ben pagato, caso in cui il salario netto mensile è di 300 euro al mese: a questo bisogna aggiungere contributi sociali per 70 euro, divisi a metà fra il datore di lavoro e il lavoratore dipendente”.
Quindi, se esportare è importante, ma rischia di far perdere alle PMI italiane delle opportunità strategiche di approdo su un mercato in grado di aprirne altri vicini nel contesto balcanico, “è attraverso la produzione diretta sul posto – conclude Albert – che si possono cogliere delle opportunità irripetibili e storiche. Specialmente per una regione come il Piemonte che è la culla dell’industria italiana”.
Quindi, le prime cose da fare sono: un biglietto aereo di andata e ritorno – Cuneo-Tirana o Torino-Tirana – una prenotazione alberghiera e “una diretta visione del territorio, delle sue istituzioni e delle sue concrete opportunità”.