scritto da Emma Bonino
Nel passare degli anni, febbraio ci riporta ricordi indimenticabili, di lotte e anche di successi, per i radicali e per me personalmente.
Il 6 febbraio 2009 moriva Eluana Englaro, e sulla sua morte si aprì in Senato un incredibile, infuocato, velenoso e persino volgare dibattito; Luca Coscioni era morto il 20 febbraio 2006, e fu per noi, divenuti da tempo suoi compagni di vita e di lotta, uno shock violento.
Io ne fui informata all’aeroporto, ero diretta in Mali per una iniziativa contro le mutilazioni genitali femminili. Pensai, ovviamente, di annullare il volo e tornare indietro, per condividere il dolore con i compagni, e con i genitori di Luca per primi. Ma subito mi venne in mente che proprio Luca non avrebbe apprezzato la mia rinuncia e la delusione che avrei provocato a decine di attiviste coraggiose, che tanto avevano lavorato in Mali per l’iniziativa cui anche io ero stata sollecitata a partecipare.
Per il tempo che lo frequentammo, Luca ci aveva insegnato a combattere, forse a piangere ma non a compiangere. Ricordo e ricorderò sempre quando Luca si candidò al Consiglio Generale Radicale, intervenendo inaspettato a una sua seduta (a Chianciano, credo) e parlando con quella voce metallica al computer, che io sentivo per la prima volta e che mi sarebbe diventata cosa familiare e cara. Luca fu per tutti noi radicali e per me un evento stimolante, che mi forzava a scoprire un mondo – non quello, lontano e generico, della “malattia”, ma quello specifico, corporeo, della persona malata con le sue concrete, quotidiane, assorbenti esigenze.
A me e certo a tutti noi radicali quel mondo di crude, reali, sofferenze era del tutto sconosciuto o rimosso. Come succede – credo -alla maggior parte dei “sani”, cosi sazi di sé e incoscienti. Incombeva ora, obbligandoci ad occuparci del tema nella sua concretezza e complessità.
La forza di Luca, la sua determinazione, lucidità e pazienza mie ci ha insegnato molto. Luca non chiedeva “comprensione”, “partecipazione” o “commozione”. Ci pose crudamente dinanzi a un problema e a un tema che chiedeva soluzioni specifiche e concrete, da raggiungere attraverso la “politica”, l’esercizio consapevole e nobilitante di una attività troppo spesso circondata di sospetto e di incomprensione in quanto ritenuta vuota ed egoistica. Luca invece ci richiamò proprio alle nostre responsabilità di “politici”, ci chiese di utilizzare tutti i mezzi che quella condizione ci offriva, perché li impiegassimo, in modo razionale, calcolato e determinato.
Ci accorgemmo subito che ignorare questa sua richiesta avrebbe ferito a morte i principi che fino a quel momento -con intellettuale chiarezza ma senza reale conoscenza e partecipazione —avevamo innalzato e preso come nostre bandiere. Scoprimmo un universo di problemi, cercammo di decifrarli, comprenderli, affrontarli: «Dal corpo del malato al cuore della politica» fu più di uno slogan, fu un impegno, un comandamento etico.
Ne fummo orgogliosi, era una nostra scoperta. Per affermare il diritto al rifiuto delle cure e, in particolare, quello di interrompere l’alimentazione artificiale che teneva in vita Eluana, la sua famiglia portb avanti una battaglia giudiziaria durata undici anni.
Il padre, Beppino Englaro, suo tutore legale, si spese in prima persona affinché venisse garantito alla figlia il diritto a un’esistenza e a una morte “dignitosa”. II caso giudiziario legato alla sua vicenda ha contribuito a cambiare in Italia la percezione dell’opinione pubblica e la giurisprudenza sul fine vita. Più di otto anni dopo la morte di Eluana Englaro, a dicembre del 2017 è stata approvata dal parlamento italiano una legge sul consenso informato, il fine vita e le disposizioni anticipate di trattamento.
La vicenda di Eluana Englaro e l’esperienza politica di Luca Coscioni mi hanno dato un insegnamento molto utile quando è toccato a me di ritrovarmi “malata”. In questi anni di chemio, radioterapie, spossatezze e mobilità limitata, ho pensato spessissimo a Luca, sentendomi fortunata di aver avuto un tale “maestro” di resistenza e coraggio.