Le storie dei dissidenti, la musica e la cultura italiana che hanno trasformato la società albanese: il focus del suo lavoro
Di:Redazione StatoQuotidiano.it
Manfredonia, 22 giugno 2019. Era ottobre del 2018 quando Vito Saracino è partito dall’Italia alla volta della capitale d’Albania, Tirana. Il suo scopo? Un progetto di ricerca in Cultura, Educazione e Comunicazione presso l’Università Roma 3 – Foggia: otto mesi per comprendere le influenza dei media italiani sulla popolazione balcanica, per scardinare ragioni, effetti, nodi del rapporto tra due nazioni che, nel corso dei secoli, hanno condiviso un magma culturale collante tra i 66 chilometri di distanza nelle acque del mar Adriatico. Un approfondimento non solo dal punto di vista teorico ma soprattutto pratico, fatto di testimonianze reali ed esempi concreti, che studia l’influenza italiana in Albania dall’inizio del secolo scorso sino agli anni della dittatura social-comunista di Enver Hoxha.
«Oltre ad essere importante dal punto di vista scientifico – spiega Saracino – questa ricerca è interessante dal punto di vista umano: attraverso le interviste sono entrato in contatto con tanta gente,in particolare chi è stato condannato dal regime per i suoi rapporti con i media e la cultura italiana».
Tra questi anche colui che costruì la prima antenna artigianale in Albania, Saimir Maloku. O ancora, gente che fu confinata poiché, nonostante non vi fosse divieto specifico di guardare la tv italiana o di ascoltare musica italiana, le loro azioni furono assimilate al grosso calderone dell’articolo 55 del codice albanese: una semplice canzone italiana negli anni del comunismo rendeva un uomo un vero e proprio sovversivo.
Curiosa la figura da lui studiata di Francesk Radi, il cosiddetto “Celentano d’Albania”: Radi cominciò la sua scalata verso il successo interpretando i pezzi più famosi di Adriano Celentano a parenti e amici, diventando un personaggio clou di questo microcosmo dove il ragazzo della via Gluck era un vero e proprio Joe Strummer imbizzarrito. Tanto che, nel 1972, fu il primo cantante a realizzare un videoclip musicale in Albania. E tanto bastò al governo per chiudere definitivamente i rapporti con la generazione dei nati tra il ’48 e il ’55. Radi divenne poi insegnante di liceo in uno sperduto centro di trecento anime nell’Albania del nord.
La cultura italiana era quella più vicina geograficamente parlando, ma era anche il simbolo delle ideologie precedenti e avverse a quelle del regime. Preda di una paranoia incontrollata, l’Albania temeva che gli italiani, assieme a jugoslavi e greci, avrebbero potuto invadere il loro Stato da un momento all’altro. È per questo che viene soprannominata “la Repubblica dei bunker”: quando ruppero con l’Unione Sovietica (anche questa vista come una forza imperialista) gli albanesi si allearono con la Cina maoista, che finanziò un bunker ogni quattro abitanti.
Il premier albanese Rama a Porta a Porta