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L’eredità di Pannella e il futuro dei radicali: intervista a Rita Bernardini

Di PrometeoLibero.com

Il Partito Radicale è una delle realtà più particolari e interessanti dello scenario politico europeo del novecento. Legato alla figura di Marco Pannella – lo storico leader scomparso tre anni fa – al Partito Radicale sono legate le battaglie sui diritti civili più importanti del dopoguerra, dal divorzio all’aborto, dai diritti degli omosessuali alla laicità dello Stato. Oggi il mondo radicale prosegue (in solitaria) le sue sfide sulle carceri, sul fine vita, sul rispetto delle minoranze.

Ma qual è il futuro del Partito Radicale? Chi è l’erede di quel Marco Pannella che, per decenni, ne è stato protagonista, anima e corpo di battaglie civili che in futuro cambieranno aspetto e avranno bisogno di cittadini pronti a prendersene carico?

Lo abbiamo chiesto a Rita Bernardini, storica esponente radicale, che a Prometeo Libero ha parlato della sua vita e di quella dei radicali. Del passato ma soprattutto del futuro di un partito che ha contribuito (e contribuisce) a rendere l’Italia un Paese più laico, civile e democratico.

In copertina: anni ’70, una giovanissima Rita Bernardini viene prelevata dalla polizia a margine di una manifestazione sull’aborto.

Rita Bernardini oggi
Rita Bernardini oggi

Rita, quant’è dura la vita del Partito Radicale senza Marco Pannella?

Durissima. Di lui ci manca la presenza fisica, la cultura liberale, le pile di giornali e quella passione per gli archivi che oggi viene portata avanti da Radio Radicale . Ma soprattutto la sua visione politica e la capacità di saper guardare oltre.

Rita Bernardini si può definire l’erede di Marco Pannella?

Assolutamente no. Oserei definirla una sciocchezza.

Addirittura

Sì. Marco Pannella era irripetibile, convinto che le battaglie radicali fossero come dei fenomeni carsici, che a un certo punto riemergono. A noi rimane un compito fondamentale, ovvero raccogliere l’immenso materiale che ci ha lasciato Marco e proseguire le battaglie che hanno accompagnato la sua vita e quella del Partito Radicale.

Non ci sono personaggi pubblici attenti ai temi garantisti, penso a Roberto Saviano, che possono diventare in qualche modo una versione contemporanea di Pannella?

Non esiste. Marco ci ripeteva sempre che la durata è la forma delle cose.

La sistematicità e la continuità quindi

Sì, la continuità. Lui ci diceva spesso: sono un arteriosclerotico, tutti dicono che ho grande fantasia ma faccio sempre le stesse cose. Sono la passione, la dedizione, la cultura, la visione e l’impegno di una vita che hanno permesso a Marco di essere quello che è stato. Ripeto, una persona unica e irripetibile.

Esiste un problema generazionale tra le file del Partito Radicale? L’impressione è che tra militanti e simpatizzanti l’età media sia piuttosto alta

Per rispondere a questa domanda vorrei parlarti del ‘Ferragosto in carcere‘, iniziativa che porterà militanti radicali, parlamentari e penalisti a visitare i penitenziari italiani a metà agosto. Ecco, tra loro ci potrebbe essere anche una giovanissima iscritta al partito di 15 anni. I minorenni non potrebbero entrare in carcere per visite ispettive, ma ci stiamo muovendo per avere un’eccezione. Ad entrare in un carcere pugliese ci sarà anche un ragazzo che sta scrivendo una tesi su un’autrice su cui non sono mai stati fatti lavori del genere, Goliarda Sapienza, scrittrice che ha trascorso un periodo a Rebibbia e ha scritto uno dei più bei libri sul tema, ‘L’università di Rebibbia’. Costruire una generazione che abbia a cuore il mondo del carcere è fondamentale.

Come nasce il tuo impegno nelle battaglie per i diritti?

Sono partita da esigenze personali e ho avuto la fortuna di crescere in un periodo in cui il dibattito sui diritti era molto vivace. Ho vissuto in prima persona il tema del divorzio, avendo frequentato in passato un uomo che stava divorziando. E soprattutto ho vissuto il dramma dell’aborto, all’epoca illegale in Italia, con le donne costrette a farlo all’estero. Io andai a Londra, ero giovanissima, avevo 20 anni e questa sofferenza mi ha dato una consapevolezza che s’è tramutata in impegno civile e militante. Mi sono avvicinata all’AIED e ho iniziato a distribuire contraccettivi nelle periferie romane. Lì le donne avevano tanti figli e non potevano permettersi economicamente di averne altri. Venivamo accolte con grande entusiasmo, ovviamente attente a non farci scoprire dai mariti. In quel caso sarebbero stati dolori.

Quali erano le idee politiche della tua famiglia?

Mio padre era missino. Era un barbiere, aveva il negozio in centro e solo tanti anni dopo scoprii che Marco Pannella andava a farsi la barba da lui. Mia madre votava Democrazia Cristiana. Nel 1995 distribuimmo hashish a Portaportese nell’ambito dei referendum, che vincemmo, sulla non punibilità per i possessori. Mia madre vide in televisione che mi arrestarono, poi subito rilasciata. Chiamò al telefono del partito e mi disse: ora ho capito perché lo fai. Essendo stata scippata poco prima da una persona con problemi di droga, nel suo piccolo aveva capito il senso della disobbedienza civile e l’importanza della causa antiproibizionista.

Negli anni, con quali modalità è stata tradita l’eredità di Marco Pannella da parte di altri radicali? Ci sono state situazioni ricorrenti ed episodi che sono andati nella direzione opposta rispetto a quello che Pannella avrebbe voluto?

Qui entra in gioco la persona e la personalità. Marco diceva sempre: per quelli che se ne sono andati, io li ringrazio per il periodo in cui ci sono stati. Periodo in cui hanno fatto a loro modo i radicali. Marco teneva in conto che le persone prendessero altre strade per convenienze o convinzioni differenti.

Tu personalmente come hai visto questi voltafaccia? Ce ne sono stati alcuni che ti hanno ferita?

Ho passato vari anni insieme a Daniele Capezzone, lui era segretario e io tesoriera del partito. Io ricordo la sua passione politica, lo studio, la conoscenza degli archivi, le sue battaglie, i suoi scioperi della fame. Per me è inconcepibile sentirgli dire alcune cose sulla giustizia, ancor più inconcepibile che non sia più entrato in carcere. Abbiamo fatto insieme la battaglia per l’amnistia e l’indulto. Per me quella è stata una grande delusione personale.

In Italia, mondo radicale e Movimento Cinque Stelle sono le realtà politiche che, seppur in forme diverse, danno maggiore importanza alla democrazia diretta. Eppure oggi radicali e grillini appaiono come i mondi più distanti nello scenario politico. Cos’è che vi differenzia maggiormente da loro e quali sono gli aspetti del grillismo che ritieni più pericolosi?

Noi da decenni difendiamo lo stato di diritto, loro non sono stati ancora in grado di promuovere un referendum di quelli previsti dalla nostra costituzione. Noi siamo molto affezionati a come i padri costituenti hanno concepito la democrazia diretta, attraverso le proposte di iniziativa popolare e i referendum abrogativi. E questo nonostante il potere abbia sempre cercato escamotage per farli saltare. Penso a quello sul concordato con la chiesa cattolica, ritenuto un trattato internazionale e quindi escluso dalle materie referendarie.

Il grillismo si può definire un po’ il figlio di questo muro che il potere ha costruito tra i cittadini e le varie forme di democrazia diretta?

È un figlio degenere. Non hanno alcuna consapevolezza delle istituzioni e della loro forza. Rimango stupita di come passino sopra ad alcuni diritti fondamentali, penso a carceri e giustizia. La loro idea di democrazia diretta si esaurisce con un click e bypassa il dibattito.

Tu dici in sintesi: cari grillini, prima di parlare di democrazia diretta abbiate un po’ più di conoscenza dello stato di diritto e dei suoi principi

Esatto. Loro hanno fatto varie ‘radicalate’, come quando sono andati sul tetto del Parlamento con la costituzione in mano senza averla mai letta. Non sanno neanche cos’è!

Tema carceri: perché l’opinione pubblica fa così tanta fatica a comprendere l’importanza della funzione rieducativa della pena? Il giustizialismo continuerà a prevalere anche in futuro o c’è speranza che un giorno possa essere temperato o addirittura sconfitto?

È l’opera più difficile e va costruita nel tempo. Esiste una carta universale dei diritti dell’uomo, ma serve anche chi spieghi alla cittadinanza la sua importanza. Negli Stati Uniti, dove c’è il più alto livello di carcerizzazione al mondo, sono nati movimenti che stanno facendo battaglie per ridurre il numero dei detenuti e che stanno trovando simpatie sia tra i democratici che tra i repubblicani. Un segnale importante.

Quali potrebbero essere iniziative per rendere più umana la figura dei detenuti e per combattere la discriminazione che subisce l’ex carcerato che torna libero?

Finendola con l’idea del carcere come luogo chiuso e inaccessibile. Se c’è comunicazione tra il penitenziario e il mondo esterno, sono certa che ci sarà una sensibilità diversa in futuro. Ma è un’operazione lunga e difficile.

Gli italiani sono pronti ad accettare la depenalizzazione della marijuana?

Rispetto ad alcuni anni fa, ora la maggioranza degli italiani mi sembra più sensibile alle ragioni dell’antiproibizionismo. Anche in quel caso è importante diffondere dati, spiegare l’importanza dell’uso terapeutico della cannabis, smascherare i falsi miti e le contraddizioni del potere.

Quali contraddizioni?

In tante occasioni lo Stato proclama la lotta alle mafie, ma contrastando la legalizzazione le permette di continuare ad arricchirsi. Con l’ultima disobbedienza civile (coltivazione della cannabis sul balcone di casa ndr) ho creato una grossa contraddizione all’interno della Procura di Roma. Se un normale cittadino coltiva piante e viene pizzicato, le forze dell’ordine chiamano la procura, procedono agli arresti domiciliari e si va a processo per direttissima. Nel mio caso sono stata denunciata a piede libero. Noi siamo contenti se tutti quelli che verranno trovati con le coltivazioni di marijuana verranno denunciati a piede libero, ma non avverrà purtroppo. Ho fatto mettere a verbale il mio disappunto nei confronti della procura per il trattamento differenziato.

Nelle scorse elezioni politiche, quelle del 2018, la Lista Pannella non ha partecipato e ha invitato a non andare a votare in virtù di una tornata elettorale definita non democratica. Non è un errore avvicinare i cittadini alla partecipazione alla vita pubblica tramite le proprie battaglie e poi dirgli di non andare a votare? Soprattutto in un’epoca di grande astensionismo e scollamento tra cittadini e istituzioni

Comprendiamo bene le ragioni di coloro che non vanno a votare. Quello che stiamo cercando di ottenere è di andare a votare con un minimo di condizioni democratiche. La competizione elettorale non è alla portata del cittadino che vuole partecipare attivamente.

Ma le elezioni si svolgono lo stesso e magari continueranno a insediarsi governi che hanno un’impostazione securitaria e giustizialista, rendendo più difficile la vittoria delle battaglie radicali 

Non presentarsi alle elezioni per noi non è un dogma, in ogni tornata elettorale c’è un acceso dibattito interno sulla questione. Marco non aveva pregiudizi nel dialogo con forze politiche, come nel 2008, quando venni eletta in Parlamento.

È vero che nelle ultime elezioni tu hai rifiutato un seggio che ti è stato proposto da Emma Bonino?

Sì, ho ancora la lettera della risposta che le ho mandato.

Perché hai rifiutato?

Perché negli ultimi tempi non c’è stata condivisione politica con l’associazione Radicali Italiani. Marco Pannella avrebbe voluto portare avanti con forza la battaglia sulla giustizia, sulle carceri e sull’amnistia e dentro i Radicali Italiani c’era un’insofferenza enorme nei confronti di questa linea. Posizioni e visioni diverse della democrazia e della situazione italiana. Non è detto che in futuro, su certe battaglie, non ci si possa ritrovare insieme. Per Pannella, il Partito Radicale era al centro, attorno a cui giravano tutte le altre cose. Gli altri, soprattutto negli ultimi anni, non hanno fatto molto per aiutare e salvare il partito.

Stai dicendo che i Radicali Italiani puntavano a un superamento del Partito Radicale?

No, magari volevano anche tenerlo in vita ma come associazione benemerita. Marco ha fatto crescere generazioni di politici di livello. Rutelli, per citarne uno, anche se a un certo punto ha preso altre strade. Pannella addirittura si dimetteva per far entrare l’ultimo della lista e farlo crescere politicamente. Penso a Mariateresa Di Lascia, ma anche a Roberto Cicciomessere.

Lo statuto del Partito Radicale prevede che si possa iscrivere chiunque, dal sacerdote al killer. Quali sono state negli anni le adesioni più discusse e controverse?

Mi viene in mente quella di Giuseppe Piromalli, un capo della ndrangheta. All’epoca qualcuno voleva tenere queste iscrizioni nel cassetto per evitare scandali, mentre Pannella le rivendicava.

Come te lo immagini tra 20 anni il Partito Radicale?

Che intanto io non ci sarò più. Se c’è una scena che mi piacerebbe immaginare è un grande luogo aperto in cui persone di ogni età si incontrano, magari per aprire qualche libro vecchio, per consultare dei documenti o solo per parlare di politica. Le forme di comunicazione saranno sicuramente molto diverse. Quando da giovanissima entravo le prime volte nella sede del partito, spesso inciampavo per la quantità di gente che stava in terra a preparare i cartelloni che avremmo portato alle manifestazioni. Venivano tutti, anche quelli che con il Partito Radicale non c’entrano niente. Mi piace immaginarlo così.

C’è un aneddoto di Marco Pannella che ti è rimasto impresso più di altri?

Una volta rifletteva sul passato, gli avevano portato delle foto comprate su una bancarella parigina che lo ritraevano giovane. Molti lo ritenevano un bell’uomo ed effettivamente da giovane era molto bello. Un giorno mi disse: “tutti mi consideravano di bell’aspetto, io mi guardavo allo specchio e non capivo le ragioni. Poi ho capito il motivo: ero bello perché ero buono”. C’è tanto di lui in questa frase, parole che ricordo con grande affetto.

Ti ripropongo la domanda che ho fatto a Marco Taradash, in un’intervista che ha rilasciato a Prometeo Libero tempo fa. Se dovessi spiegare a un ragazzo nato nel 2000 perché le battaglie radicali sono state così importanti e perché continueranno ad esserlo, cosa gli diresti?

Perché è fondamentale che i propri ideali, le convinzioni che sentiamo nel profondo, abbiano la possibilità di confrontarsi con quelli degli altri e di camminare sulle gambe delle persone. Abbiamo ottenuto tanto ma ci sono ancora tanti diritti da affermare e su cui lottare. In primis i diritti umani. Ma accanto alla lotta è fondamentale studiare e informarsi. La conoscenza, il confronto e il dubbio sono le migliori armi che si possano avere

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