di Rando Devole. Sociologo e giornalista.
La decisione del Consiglio europeo di ottobre di non aprire i negoziati di adesione all’Unione europea dell’Albania e della Macedonia del Nord ha provocato forte delusione e accese polemiche.
Tra i paesi europei contrari all’apertura dei negoziati si annoverano Francia, Olanda e Danimarca. Il presidente francese Macron è stato determinato nelle motivazioni del suo veto, ponendo due questioni: da una parte i nuovi allargamenti e il meccanismo di adesione dei nuovi stati membri, dall’altra la riforma dell’Ue stessa.
Altri paesi europei, tra cui l’Italia, erano a favore dell’apertura dei negoziati, sostenendo che entrambi i paesi avessero soddisfatto i criteri stabiliti e che l’Ue sarebbe uscita con un’immagine a pezzi nel caso di un rifiuto. Inutili i tentativi per convincere la Francia. La Germania invece, nei confronti dell’Albania, ha tenuto un atteggiamento più equilibrato, dichiarandosi favorevole all’apertura dei negoziati, ma mettendo una serie di nuove condizioni.
In Albania le letture sono state molteplici, ma prevalente sembra essere quella secondo cui la scelta di bloccare l’apertura dei negoziati sia da attribuire alle dinamiche interne della Francia e dell’Ue. Il premier albanese Edi Rama ha sostanzialmente sostenuto che l’Albania aveva
fatto i propri “compiti a casa”, e per questo motivo aveva incassato il “sì” di molti organismi e paesi europei. L’opposizione, com’era prevedibile, ha addossato invece la colpa al Governo, e ha accusato direttamente il premierRama per aver fallito l’obiettivo dell’apertura dei negoziati.
Ma ci sono altri punti di vista e interpretazioni. C’è chi ricorda l’indifferenza francese nei confronti dell’Albania, ricordando che in quasi 30 anni di pluralismo nessun Presidente o Primo Ministro francese abbia mai messo piede per una visita ufficiale nel Paese; oppure il fatto che i richiedenti asilo vengono usati come scusa da un paese come la Francia che ospita un numero irrilevante di cittadini albanesi rispetto ad altri paesi europei oppure ad altre comunità; non mancano infine quelli che non vedono sostanziali differenze tra le posizioni dei vari paesi europei.
Fatto sta che in Albania nel gioco di scaricabarile si è persa l’occasione di fare un’analisi profonda e una riflessione sincera sulle reali condizioni del paese e sulla salute del sistema democratico. Questo per il bene degli albanesi in primis, e poi per il percorso dell’integrazione europea. Un’occasione persa anche per capire i motivi per cui la gente continua ad abbandonare il Paese, come dimostrano drammaticamente i dati demografici, dimenticando che l’emigrazione è anche un fedele termometro per capire la febbre e la salute di un paese e del suo futuro.
La parte che viene sottaciuta riguarda i risultati deludenti dell’Albania nella lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione diffusa, l’andamento contraddittorio della riforma giudiziaria, l’incapacità di adeguarsi all’acquis comunitario, l’approccio strumentale, le criticità nella costruzione dello stato di diritto, ecc. Da non sottovalutare anche il clima politico, giunto ormai allo scontro frontale e senza esclusione di colpi tra i rappresentanti delle istituzioni.
Il percorso dell’Albania verso l’Europa ha fatto emergere la perenne tensione tra allargamento e approfondimento: l’entusiasmo dei tempi dell’allargamento all’Est sembra non solo lontano, ma talvolta anche sbagliato. I negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord andavano aperti. L’Ue è da tempo sotto attacco, anche come modello culturale e sociale. Da una parte i travagli interni: Brexit, crisi finanziaria, gestione fallimentare dei flussi migratori, egoismi nazionali, forze sovraniste;
dall’altra le avversità esterne di grandi potenze: la Russia di Putin, gli Usa di Trump e la Cina della “Via della seta”.
L’Ue deve trarre forza da chi bussa sinceramente e fiduciosamente alle sue porte e deve attuare un percorso di inclusione e di integrazione per i Paesi balcanici. L’obiettivo dei padri costituenti era la creazione di uno spazio di pace, stabilità e prosperità. Ma per farlo bisogna crederci come all’inizio, in un progetto vitale, affascinante e senza precedenti: appunto l’Unione Europea.
[pubblicato su Confronti 12/2019]
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