Di Adela Kolea
Tirana, 1973.
Mia madre il giorno delle sue nozze.
Mi piace molto questa foto, perchĂ© lei qui Ăš giovane, molto bella ed elegante e apprezzo tra l’altro, ogni dettaglio del suo look, da cui, specialmente per i tempi che correvano in Albania, traspare molta civiltĂ e buon gusto.
In Albania tra gli anni ’70-’80 – per ciĂČ che ho sentito a Tirana almeno – si usava inoltre che la sposa, assieme alla biancheria per la casa ricamata e tutta lavorata tendenzialmente a mano, insieme a diversi oggetti di arredo, portasse con sĂ© in dote anche una bambola vestita da sposa, una “mini sposa” a propria assomiglianza.
Solitamento la bambola veniva vestita con la stessa ed identica stoffa dell’abito della sposa stessa.
Osservo qui anche degli elementi di arredo, quali il kilim artigianale e i copricuscini di “atllas”, di raso, tipici da corredo nuziale.đđ
đŽRicordo che avevo circa 10 anni e contribuivo anche io a questa attivitĂ di famiglia: “Noleggio abiti ed accessori per le spose!” đ°đŽ
Mia madre e la nonna, capitava che mi mandassero da “corriera” nelle case, in cui era in corso una “DasmĂ«”, i festeggiamenti per un matrimonio albanese, a portare a termine un ordine, una commissione per la sposa.
đŒPer la consegna di turno, ricordo che dovetti salire di corsa – ai tempi saltavo due gradini alla volta in fretta e furia – fino al quinto piano di un condominio, in cui era in corso una festa per il matrimonio:
La nonna, che oltre ai vestiti da sposa, noleggiava anche tutti gli accessori – rigorosamente italiani – mi aveva incaricata a portare un ventaglio elegante alla sposa!
Era estate, faceva molto caldo.
Avevo trovato la sposa nella stanza degli ospiti, tutta truccata ed agghindata, che stava gocciolando per il caldo!
Il trucco le si stava sciogliendo in viso, le sfumature degli ombretti sugli occhi si stavano fondendo una con l’altra.
Due donne le stavano facendo fresco sventolando dei giornali davanti al suo viso.
Un ventilatore attaccato all’angolo della stanza, non faceva nemmeno effetto a ridurre il caldo.
La sposa, quando mi vide arrivare con il ventaglio in mano, tra l’altro un ventaglio molto elegante, fece un sorriso ed un sospiro di sollievo.
RinfrescĂČ il trucco, si mise seduta nella sua poltrona, con nonchalance usava il ventaglio ormai per fare fresco e intanto arrivavano gli ospiti per fare gli auguri alla coppia.
Questo era il cerimoniale in casa della sposa, in quanto i festeggiamenti per un matrimonio iniziavano il giovedĂŹ, per terminare la domenica.
Io, mi ero seduta per un attimo accanto a lei per prendere fiato dopo la rincorsa che avevo fatto, salendo fino al quinto piano per raggiungere il loro appartamento.
Le donne di quella casa, come la tradizione voleva, mi avevano offerto il “lokum”, il dolce tipico beneaugurante che si offre ai matrimoni albanesi solitamente, un bicchiere di “shurup trĂ«ndafili” – “sciroppo di rose”, avevo fatto gli auguri e avevo fatto ritorno a casa.
đŒMi attendeva la prossima consegna.
Quella volta successiva mi mandarono non piĂč in casa della sposa, bensĂŹ nel locale, in cui stava avvenendo la festa per il matrimonio.
Dovevo portare un mazzo di fiori, bouquet di carta crespa elegante e decorativo, omaggio per la sposa!
Dato che era ora di cena e tardi, mi accompagnava mio cugino piĂč grande di me di etĂ .
Allora entrai in questo locale a Rruga e Elbasanit – il mio quartiere – pieno di gente.
Io ero una bambina, ma molto sveglia e responsabile.
Con altrettanta voglia di osservare e curiosare in queste cerimonie.
Nel locale, i tavoli tutti sistemati a forma di “U”, attorno alla “pista da ballo”, la parte centrale libera, in cui gli ospiti ballavano.
In quel momento, l’orchestra presente suonava le canzoni tipiche nuziali della zona di Tirana e mi ero intruffolata tra quella folla di “danzatori e danzatrici”, per raggiungere al centro della sala, nel tavolo della coppia, la sposa e consegnare a lei questo mazzo di fiori di carta crespa e plastica – un omaggio della “ditta della nonna”, per la festeggiata!
Lei aveva gradito molto questo omaggio floreale, il bouquet sebbene fatto non di fiori freschi – quelli costituivano una normalitĂ – bensĂŹ di fiori artificiali, prodotti italiani, che facevano la differenza!
Anche in quel caso, al locale ci avevano offerto una classica porzione, “un rombo” di baklava e una bibita fresca e avevamo fatto rientro a casa con mio cugino, lasciando il ristorante alle spalle, e portando addosso sui vestiti, un misto di odori dei cibi tradizionali albanesi, le cui particelle si erano sparse nell’atmosfera che si respirava nel locale stesso, tra il profumo degli ospiti e i deodoranti, con odore di carne “shishqebaq”, “qofte”, – “polpette”, grigliate varie, “meze”, antipasti svariati e l’odore inconfondibile di “raki”- “acquavite” e birraâŠ
Non vedevo l’ora di ricevere il mio successivo “incarico” inerente alle cerimonie dei matrimoni in quartiereâŠ
Il contatto con le persone, i luoghi, gli eventi, i diversi contesti a cui mi intruffolavo, contribuivano a stimolare in me, non solo il mio lato estroverso e comunicativo con le persone, l’eloquenza, la dialettica, ma anche a fare “patrimonio” di aneddoti, chicche, situazioni o piccole storie, spesso esilaranti per l’universo rispettivo dell’etĂ che avevo, da immagazzinare e narrare in seguitoâŠ