di Geri Ballo e Giovanni Lattanzi
L’Italia è cambiata e sta continuando a cambiare davanti ai nostri occhi. Oggi più di 5 milioni di persone provenienti da decine di paesi del mondo la chiamano casa. E centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi dai tratti somatici più diversi studiano e crescono nelle nostre città, parlando con il medesimo accento dei loro coetanei nati da genitori italiani. Eppure c’è un divario importantissimo che separa gli uni dagli altri. Quello dei diritti. In primis il diritto ad essere cittadini italiani, membri a pieno titolo di questa comunità. Chi non è figlio di italiani potrà riuscire a diventare cittadino di questo paese a due decenni dalla nascita, e solo se avrà maturato altri requisiti, tra cui la residenza ininterrotta in Italia. Il seme della diseguaglianza viene piantato tra i ragazzi proprio da chi dovrebbe promuovere la parità, in rispetto dell’articolo 3 della Costituzione: lo Stato Italiano. La legge sulla cittadinanza in vigore è datata 1992, – quasi 30 anni fa – fotografia sbiadita di un’Italia patria di emigrati, saldamente ancorata al principio dello ius sanguinis che la lega ai suoi figli sparsi per il mondo. Ma si dimentica dei nuovi arrivati, di chi ha scelto di costruire qui una famiglia mettendo al mondo dei figli, lavora e paga qui le tasse, avvia attività imprenditoriali che impiegano centinaia di migliaia di persone.
Non possiamo più fingere che non esista un cambiamento sociale, una Italia nuova. Dobbiamo avere il coraggio di approvare una riforma sulla cittadinanza che sia all’altezza di un paese forte e consapevole. Crediamo che la riforma debba essere approvata in tempi rapidi e che debba contenere una nuova visione di paese prevedendo, innanzitutto, l’abolizione delle norme sulla cittadinanza previste nei Decreti Salvini. Occorre poi approvare una nuova legge basata su alcuni capisaldi. Per coloro che vivono in Italia da 5 anni, con residenza continuativa, garantire la possibilità di presentare domanda per la cittadinanza (e la risposta deve arrivare in 6 mesi al massimo, non 4 anni come prevrdono i Decreti Salvini o 2 anni come stabiliva la normativa del 1992). Oggi le banche dati si parlano costantemente e in poco tempo si conosce la posizione amministrativo-legale della persona che ha chiesto la cittadinanza, quindi basta burocrazia e tempi lunghi. Inoltre dobbiamo riconoscere a chi vive in Italia con residenza continuativa da 5 anni, integrato nel contesto sociale, economico e culturale, la possibilità di partecipare alla vita politica e amministrativa attraverso il diritto di voto, secondo il principio “No taxation without rappresentation”.
I giovani sono il futuro del nostro paese e le seconde generazioni (ma è più corretto definirli ‘italiani con background migratorio’ anche se spesso non hanno la cittadinanza) lo sono al pari delle bambine e dei bambini nati da genitori italiani. È giusto riconoscere loro gli stessi diritti secondo un principio chiaro: chi nasce e cresce in italia è italiano. I figli di immigrati che vivono in Italia sono 1 milione e 316 mila: di questi il 75% è nato qui. Per coloro che nascono in Italia da genitori con permesso di soggiorno a lungo termine dobbiamo prevedere il riconoscimento della cittadinanza italiana e, allo stesso tempo, per chi arriva minorenne con i genitori o non accompagnato dobbiamo garantire il diritto di richiedere la cittadinanza dopo un ciclo di studi.
Diamo ai giovani la forza per far Volare il nostro Paese
Volare aderisce alla “Manifestazione: Legge di cittadinanza, Articolo 3” che si svolgerà a Roma il 3 Ottobre, Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, in Piazza Santi Apostoli alle ore 15.30