di Maria Gioia, Brindisi Cronaca
Attesa per la due giorni in Puglia del premier albanese Edi Rama,domani a Bari e sabato a Brindisi, in occasione dei trent’anni del dall’esodo del marzo 1991, quando il capoluogo spalancò le porte e apri le braccia per accogliere 27mila migranti in fuga dal Paese delle Aquile. Rama sarà in visita in città proprio per ricordare la generosità del popolo pugliese. Evento che ha segnato la storia, costruendo un legame profondo tra le due sponde dell’Adriatico.
La mattina del 7 marzo del 1991, a Brindisi, giunsero navi mercantili, pescherecci e altri vascelli gremiti di albanesi:un’emergenza internazionale che la città affrontò a lungo,esclusivamente con le proprie forze, mettendo in moto una straordinaria rete di accoglienza e solidarietà. Edi Rama sarà presente prima a Bari e poi a Brindisi per celebrare il ricordo di quegli sbarchi e dell’impegno profuso dal territorio. Giorni che nel tempo hanno segnato anche il futuro politico, sociale ed economico dell’Albania un paese oggi assai diverso rispetto a trent’anni fa.
L’Albania è cambiata tanto. E ora ha un volto nuovo. A parlarne è l’onorevole Nicola Ciracì che sino al 2020 ha vissuto e lavorato in quella terra dalle numerose potenzialità come consulente per le imprese, soprattutto nell’ambito del settore energetico. Ad interrompere la sua esperienza è stata l’emergenza Covid. «Io e mio figlio abbiamo vissuto in Albania sino a quando l’emergenza Covid non ci ha costretto a rientrare in Italia. Io lavoro come consulente per le imprese, mentre mio figlio è studente della facoltà di Medicina presso l’università cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” di Tirana di proprietà di Tor Vergata una vera eccellenza tricolore», spiega Ciracì e svela una realtà ignoratadagli italiani e dai brindisini, in particolare.
«Sono passati 30 anni dallo sbarco a Brindisi e non vorrei che qui si proseguisse solo nella legittima memoria senza preoccuparsi del presente e del futuro. Perché l’Albania di 30 anni fa non esiste più: oggi è ricca di partite Iva, di italiani che hanno deciso di trasferirsi lì per lavorare, studiare, viaggiare per ragioni anche turistiche e sanitarie – un esempio sono i soggiorni legati all’ortodonzia o al trapianto di capelli – e persino per trascorrere il periodo della pensione in tranquillità perché le tasse sono più basse e la vita molto meno costosa. In Italia la presenza della comunità albanese ha superato quella della comunità rumena», ricorda.
E fa notare: «Ci sono tante interconnessioni tra questi due popoli, ma purtroppo non ce ne accorgiamo. Voglio dire che il mondo delle persone è andato avanti, mentre quello delle istituzioni italiane si è fermato a trent’anni fa: hanno sottovalutato le potenzialità dell’Albania e cosa vuol dire avere a che fare con una nazione, che oggi è una vera e propria porta aperta verso i Balcani e spinge per entrate in Europa».
Quali le conseguenze di tale immobilismo? «Basti pensare che non c’è un riconoscimento pensionistico né per gli italiani in Albania né per gli albanesi in Italia, non c’è un riconoscimento degli esami per gli studenti italiani nelle università albanesi. E, parlando della nostra provincia, non ci sono collegamenti aerei da Brindisi a Tirana. Per prendere un aereo e arrivare in Albania noi dobbiamo trovare un volo da Bari e pure costoso. Brindisi è disattenta. E pure gli imprenditori brindisini sono disattenti al contrario di quelli baresi, ad esempio. Siamo tutti chiusi nel nostro orticello, non volgiamo lo sguardo verso le opportunità offerte da quella terra, cerniera dei rapporti tra Occidente ed Oriente. Abbiamo un’occasione di sviluppo a cento chilometri, i Balcani sono lì, ma siamo indifferenti», sottolinea Ciracì.
E conclude: «Dovremmo avere il porto di Brindisi pieno, ma gli albanesi, montenegrini, Kosovari, serbi, moldavi scelgono porti più attrattivi come Ancona e Venezia, perché non abbiamo incentivato questo aspetto. Siamo e siamo stati debolissimi anche nel coltivare rapporti istituzionali e politici. Per noi l’Albania doveva essere un partner logico per scambi economici e culturali. E, invece, la nostra presenza lì è legata ad iniziative di singoli, non ci sono punti di riferimento concreti. E anche per questo il loro sguardo nei nostri confronti è cambiato, oggi si parla più inglese dopo una vita di dominio della nostra lingua. Con il rettore Fabio Pollice abbiamo fatto incontrare UniSalento con le principali università albanesi. Adesso sto lavorando ad un protocollo tra l’Accademia delle Belle Arti di Lecce, di cui sono presidente, e quelle di Tirana e Pristina. Serve più Salento in Albania e più Balcani nel Salento e soprattutto servono voli low coast».