Di Anna Lattanzi
Ormai, non si contano più le volte in cui ho presentato “L’Ora del male” e di volte ne arriveranno ancora tante. La cosa strana è che per me, ogni volta è diversa e l’adrenalina è sempre alta.
“Come – mi sento dire – lo hai presentato tante volte, ormai dovresti essere abituata a questa relazione”.
No, in verità, non mi ci sono abituata per niente e inizio a pensare che sarà così fino alla fine, se mai una fine ci sarà. Ogni volta che mi preparo a una presentazione di Tom Kuka, inevitabilmente guardo il libro sotto un’angolazione differente e scopro sempre elementi nuovi da sottolineare, chiedendomi come ho fatto a non evidenziarli prima.
Non è facile che un libro “riesca ad appartenermi”, non è semplice che un volume mi dia sempre spunti differenti e che mi permetta di leggerlo con prospettive diverse. In questo caso è così.
Tanto lo devo alla penna di Tom Kuka, che opera con maestria tra i righi della narrazione. Tanto lo devo al suo stile di scrittura, asciutto, brillante, armonioso e musicale, fatto di capacità e passione. Tanto lo devo a un romanzo d’amore, che come lo stesso autore direbbe “non è solo una storia, ma anche un sogno”.