di Stefania Romito*
Sono trascorsi 50 anni dalla morte di Dino Buzzati, uno scrittore che ha fatto della pazienza il tempio della speranza nel vuoto di un’attesa in cui illusione e disillusione acquistano valenza di sacralità.
È stato definito lo scrittore “dell’assurdo-reale” nella piena consapevolezza che la letteratura ha il compito di estraniarsi dalla storia per divenire sogno, proiettando il lettore verso un universo fantastico avulso alla cronaca.
Quando uscì il suo capolavoro letterario Il deserto dei Tartari (pubblicato da Longanesi nel 1940) Buzzati lavorava già da 10 anni come giornalista al Corriere della Sera. Quel lavoro che si logorava in una ripetitività alienante, fatta di monotona routine redazionale, costantemente in attesa di un importante evento, deve avere stimolato in lui la genesi del suo capolavoro. Un racconto incentrato sulla figura del tenente Drogo che, come il giornalista confinato nell’isolamento della sua scrivania, viene inviato all’ultimo avamposto del Regno per vivere il suo destino di solitudine. Come il soldato, anche il giornalista è sottoposto a una rigida gerarchia, a precise regole disciplinari e condannato a svolgere quotidianamente le medesime funzioni ripetitive.
Il deserto dei Tartari rappresenta la storia della vita nella “fortezza” del giornale, che promette i prodigi di una solitudine che è vocazione.
Dice Buzzati: «Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva».
Buzzati sceglie di dare voce, attraverso la rappresentazione di un mondo militare fantastico, al disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo afflitto nella consapevolezza della fugacità di un tempo che scorre inesorabile sull’attesa incessante che un fatto eccezionale dia un senso all’esistenza. Che elevi l’uomo a un destino superiore sollevandolo dalla mediocrità di un “medio destino”.
Nei romanzi di Buzzati, e forse ancor di più ne Il deserto dei Tartari, i temi fondanti ricorrono in maniera ossessiva. Il trascorrere del tempo, racchiuso nella sua alienabile ciclicità; la morte, che dà senso alla vita solo come estrema conseguenza di un’azione eroica; l’illusione, che alimenta le speranze dell’uomo e funge da motore trainante nella sua azione propulsiva; la disillusione, che giunge sempre con la sua amara puntualità e infine la solitudine, che colma l’infinito vuoto esistenziale nella perpetua attesa di una prodigiosa circostanza che consenta di mostrare la propria immanente essenza.
La storia è ambientata in un paese immaginario. Una Fortezza distante dalla città. L’ultimo avamposto ai confini settentrionali del Regno. La Fortezza Bastiani domina la desolata pianura chiamata “Deserto dei Tartari”, un tempo teatro di rovinose incursioni da parte dei nemici, ormai svuotata della sua importanza strategica.
Osservata da lontano, la Fortezza appare a Drogo come una “striscia rettangolare di colore giallastro”. Il colore giallo, ripetuto più volte nel romanzo, è funzionale per connotare il luogo da un punto di vista psicologico associandolo al sentimento di angoscia e all’idea di minaccia che qui assume valore di speranza.
Ma è soprattutto nella descrizione che ne fa il protagonista, che possiamo rinvenire quei temi a cui Buzzati doveva tenere maggiormente: il tempo e la solitudine (come ho evidenziato nella mia relazione all’Università di Milano).
«Lungo tutto il ciglione dell’edificio centrale, delle mura e delle ridotte, si vedevano decine di sentinelle, col fucile in spalla, camminare su e giù metodiche, ciascuna per un piccolo tratto. Simili a moto pendolare, esse scandivano il cammino del tempo, senza rompere l’incanto di quella solitudine che risultava immensa».
Tempo e solitudine, quindi, che segnano i limiti di un’attesa. L’attesa di una vita che si perde dentro gli orizzonti illimitati della speranza. Questi gli elementi che fanno di Buzzati uno scrittore destinato a infinitarsi nelle profondità dell’umana coscienza per rinvenire gli estremi significati del nostro vivere.
*giornalista e scrittrice