Un’analisi di Alda Kushi, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI.
L’analisi dell’identità religiosa albanese presenta caratteri peculiari in quanto è un paese a maggioranza islamica anche se l’islam non è una religione autoctona ma acquisita molto dopo che nel territorio si professassero parallelamente il cattolicesimo e l’ortodossia. Indipendentemente da quale fosse più antica o più diffusa, queste tre religioni coesistono pacificamente a partire dal XIII secolo. Col passare degli anni i mussulmani si sono divisi in due rami: i Sunniti e i Bektashi, rendendo il quadro religioso albanese ancora più variegato e differenziato.
Nonostante la presenza di questo mosaico religioso, l’Albania non si è mai considerata un Paese multietnico in quanto non vedeva nella religione il proprio elemento identificativo. La popolazione si riconosceva e trovava la propria appartenenza in altri fattori di identificazione come la storia, la lingua, le tradizioni e principalmente il sentimento condiviso di un’unica identità nazionale. Le religioni invece, erano una mera eredità dei grandi imperi occupatori.
Le differenze e le contrarietà che riguardavano le questioni religiose erano notevolmente affievolite dal condiviso sentimento nazionalistico che ha contribuito ad attenuare l’effetto di frammentazione sociale imputato alle religioni. È così che nel XVII Secolo nasce e si rafforza quella che in seguito verrà chiamata la vera ed autoctona “religione” albanese: l’albanesità, il cemento unificante di tutte le religioni.
Questa pacifica convivenza religiosa è stata conservata e tutelata giuridicamente da tutti i governi che si sono susseguiti negli anni come parte dell’identità nazionale albanese. Fa eccezione in questo caso il regime comunista di Enver Hoxha che ha creato una lacuna profonda nella storia delle religioni in Albania rendendola il primo paese ateo nel mondo. Per circa 25 anni fu proibita la professione di qualsiasi religione e gran parte di coloro che si rifiutarono di negare al propria fede furono uccisi senza un processo. L’ateismo di stato fu proclamato nel 1967 ma la guerra contro religioni era stata avviata ben 20 anni prima.
Iniziò con la riforma agraria attraverso la quale il governo di Hoxha privò le confessioni religiose dalle proprie terre incidendo cosi direttamente sulle loro finanze; e continuò con il decreto legge del 1949 sulle “Comunità Religiose in Albania” il quale prevedeva che le Confessioni religiose dovevano rielaborare il proprio statuto secondo le indicazioni del governo e sottoporlo, insieme al bilancio preventivo, al controllo e all’approvazione del Consiglio dei Ministri.
Fu sottoposta all’approvazione del governo anche la lista completa del personale religioso e amministrativo degli enti religiosi, accompagnata da un fascicolo biografico relativo a ciascun nominativo. Fu vietato agli Enti religiosi anche l’apertura di orfanotrofi, ospedali o centri di accoglienza, rendendoli competenze esclusive dello Stato. Questo ridusse di molto il rapporto tra le diverse confessioni e la comunità. Le attività che richiamavano i fedeli furono ridotte a livelli mai raggiunti anche negli anni di più profonda difficoltà economica.
La perdita dell’autonomia gestionale e dell’indipendenza finanziaria portò ad un graduale fallimento economico e sociale degli Enti religiosi che produsse di conseguenza una riduzione dei rapporti della comunità con la chiesa o la moschea di appartenenza, ma non sradicò la fede nelle persone, che indipendentemente dal destino delle Confessioni religiose continuarono a conservare e praticare privatamente il proprio credo.
Questo spinse Hoxha a prendere misure ancora più drastiche proclamando nel 1967 l’ateismo di stato. La persecuzione verso i fedeli divenne sempre più intensa e violenta. Didier Rance nel suo libro dedicato al dramma religioso albanese lo definì “il Paese che ha voluto uccidere Dio”. Tuttavia, né il comunismo e né l’ateismo di Stato riuscirono a placare la fede degli albanesi, al contrario, contribuirono a creare e a consolidare una rete impercettibile tra i credenti che proprio in risposta alla repressione comunista si avvicinarono ancora di più alla fede, praticando la propria religione in rigoroso silenzio e segretezza.
Con l’arrivo della democrazia giunsero in Albania anche molti missionari stranieri che professavano religioni diverse nella speranza di farsi spazio all’interno di un paese presumibilmente senza fede dopo quasi 25 anni di ateismo di Stato.
Dovettero ricredersi e lasciare il paese nel giro di pochi anni perché in Albania riaffiorarono le stesse 4 religioni del pre-comunismo (cattolica, ortodossa, mussulmana e bektashi). Questo si può evincere anche nel calendario ufficiale dei giorni festivi in Albania in cui le uniche festività religiose riconosciute dal governo riguardano queste religioni. Tuttavia, nel corso degli anni, è aumentata in maniera significativa anche la presenza degli evangelisti cristiani (Vellazeria Ungjillore Shqiptare, VUSH), tale da essere considerata la quinta religione per numero di fedeli. Sulla scia della tradizione di una pacifica convivenza tra le diverse confessioni religiose, sia il governo che i rappresentanti delle varie Comunità hanno frequentemente fatto appello ai fedeli di rispettare le differenze religiose e contribuire a garantire la pace e la stabilità nel territorio nazionale.
Infatti, il dialogo interreligioso costituisce oggi uno dei valori caratterizzanti dell’Albania. In maniera riduttiva si tende ad attribuire tale virtù al comunismo e all’ateismo di Stato che hanno affievolito il sentimento religioso. A questo punto nasce spontanea la domanda che se la fede si è persa con il comunismo perché tutt’oggi si praticano le stesse religioni storicamente radicate in Albania? Perché i missionari provenienti da tutto il mondo con i loro abiti eleganti, il viver occidentale e tutti quegli aiuti messi a disposizione della popolazione pur di ritagliarsi una fetta del mercato religioso sono ormai una storia dimenticata? La pacifica convivenza è un dato di fatto ma non possiamo attribuire il merito al comunismo o all’ateismo di stato. Le ragioni sono molto più profonde e antiche. Possiamo qui menzionare il fatto che nessuna delle quattro religioni ufficiali in Albania è di origine autoctona. Tutte sono state acquisite nel corso dei secoli da potenze che hanno attraversato il territorio e hanno lasciato la loro impronta. La conversione alla religione dell’occupatore di turno rappresentava più che un fatto religioso una questione di comodità, ci si convertiva ad uno stile di vita agiato più che ad una religione vera e propria.
Se volessimo attribuire un merito al comunismo possiamo dire che abolendo le religioni ha creato i presupposti per la formazione di coppie di credo diverso dando così vita a famiglie di composizione mista dove si festeggiano congiuntamente Natale e Ramadan nel reciproco rispetto, o forse nella reciproca indifferenza.
Forse questa pacifica convivenza, e il tanto discusso dialogo interreligioso, che propagandiamo ai governi europei con tanto orgoglio, hanno radici più semplici e mediocri di quanto gli studi non rivelino: la semplice indifferenza. In Albania la religione non è collegata al potere politico e laddove non c’è potere non c’è neanche un valido motivo per farsi la guerra. Le regole del gioco sono dettate dalla politica, è là che sta il potere, ed è là che è concentrato l’interesse della popolazione albanese. Questo non sminuisce ciò che di fatto esiste nel paese delle aquile, una pacifica coesistenza interreligiosa che oggi costituisce un piccolo oasi in un mondo tormentato dalle guerre religiose; ma è ora di non prenderci tutti i meriti, e se li vogliamo prendere allora che sia quello dell’indifferenza!/Balcando.it