Sembra tornata la calma in Kosovo dopo settimane di tensioni. La fine del 2022 e l’inizio del 2023 sono difatti stati segnati da un aggravarsi della crisi tra il governo del Kosovo e la comunità serba che vive nel paese, con conseguenti accuse reciproche tra Belgrado e Pristina. Nonostante la stampa internazionale già preannunciasse lo scoppio di una nuova guerra in Europa, la situazione in Kosovo è rimasta tesa ma sotto controllo, e oggi si parla apertamente della possibilità di un accordo tra i due paesi da finalizzare entro la primavera.
I fatti
I rapporti tra Kosovo e Serbia hanno subito un evidente peggioramento a partire dal 2021, a seguito dell’elezione a primo ministro del Kosovo di Albin Kurti, che ha assunto un approccio più deciso nei negoziati con la Serbia e verso l’influenza che Belgrado esercita sui serbi che vivono in Kosovo. Questa influenza si esercita politicamente attraverso la Lista Serba (Srpska Lista), partito che detiene un monopolio della rappresentanza dei serbi nel parlamento del Kosovo e legato a doppio filo con il governo di Belgrado e il presidente serbo Aleksandar Vučić. Ma l’influenza di Belgrado passa anche attraverso il mantenimento e finanziamento di un sistema di istituzioni parallele considerato illegale dalle autorità di Pristina, riguardante ad esempio il sistema scolastico e sanitario.
Le misure adottate dal governo Kurti negli ultimi due anni per rafforzare la statualità del Kosovo hanno riguardato principalmente i documenti d’identità e le targhe delle auto. In ultimo, il piano del governo di Pristina di avviare la ri-registrazione dei vecoli muniti di targhe rilasciate dalle autorità serbe e recanti le sigle delle municipalità kosovare, sostituendo quest’ultime, senza costi amministrativi, con targhe kosovare recanti la sigla “RKS” (Repubblica del Kosovo) ha innescato reazioni negative da parte dei serbi, culminate a inizio novembre nelle dimissioni di massa dei serbi kosovari che operavano nelle istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia del Kosovo.
In campo politico, il governo kosovaro ha risposto alle dimissioni dei rappresentanti della Lista Serba dal governo nominando un nuovo ministro serbo non legato a Belgrado, Nenad Rašić, che è stato subito bollato come traditore dal presidente Vučić. Al contempo, le dimissioni di quattro sindaci dei comuni kosovari situati al nord, abitati da una maggioranza serba, hanno portato alla decisione di indire nuove elezioni locali a dicembre. Sul piano della sicurezza, per colmare il vuoto lasciato dai poliziotti serbi dimissionari, il governo ha annunciato il dislocamento al nord di poliziotti di etnia albanese da altre aree del Kosovo, in particolare per monitorare i confini con la Serbia e le aree multi-etniche dei comuni settentrionali.
A queste decisioni si è opposta la maggioranza della popolazione serba, guidata dalla Lista Serba e sostenuta da Belgrado. Tra le reazioni si sono registrati anche episodi violenti, come attacchi armati contro i funzionari della commissione elettorale del Kosovo in visita per preparare il voto, spari contro pattuglie della polizia, aggressioni a giornalisti albanesi kosovari ed esplosioni in diverse aree del nord del paese. Una reazione descritta come criminale dal governo Kurti ma difesa come legittima da Belgrado.
Se, grazie alle pressioni internazionali, Kurti ha acconsentito a posticipare le elezioni locali ad aprile, un nuovo capitolo si è aperto il 10 dicembre alla notizia dell’arresto di un serbo kosovaro, Dejan Pantic, ex membro della polizia poi dimessosi, considerato responsabile degli attacchi armati alla commissione elettorale. I serbi hanno risposto erigendo barricatesulle strade del nord, con conseguente chiusura dei confini tra Kosovo e Serbia. Le barricate, apertamente appoggiate da Belgrado e dalla Lista Serba, hanno visto un sostanziale supporto da parte della popolazione serba locale, ma diversi video hanno anche mostrato la presenza di uomini armati. In quei giorni, la retorica politica si è fatta ancora più accesa, con il ministro della Difesa della Serbia in visita alle truppe dell’esercito stanziate poco lontano dal confine kosovaro, e Kurti ad accusare apertamente la Russia di sostenenere Belgrado nel tentativo di destabilizzare l’intera regione. Nonostante ciò, Pristina non ha agito con la forza per rimuovere le barricate, aspettando un intervento della NATO volto a sbloccare la situazione in modo pacifico. Le barricate sono durate quasi tre settimane, fino a che la decisione di spostare l’arrestato agli arresti domiciliari e la forte mediazione della comunità internazionale con il presidente Vučić, hanno portato quest’ultimo a richiedere ai serbi di rimuovere i blocchi, senza ulteriori conseguenze.
Infine, un’ultima crisi si è registrata in occasione del Natale ortodosso, il 6 gennaio, quando – per ragioni ancora da chiarire – nel comune di Shtërpcë/Štrpce, un uomo albanese ha sparato a due ragazzi serbi, che sono poi stati ricoverati in ospedale. La vicenda ha portato a nuove manifestazioni organizzate dalla Lista Serba, questa volta nel Kosovo meridionale, con inevitabili accuse di Belgrado a Kurti di essere una minaccia alla vita e alla sicurezza dei serbi in Kosovo. In questo caso, Kurti e i più altri rappresentanti istituzionali del Kosovo hanno nettamente condannato l’episodio, sottolineando come si sia trattato di un caso isolato, mentre la polizia del Kosovo ha prontamente arrestato il presunto responsabile.
Gli sviluppi diplomatici
Tutte queste crisi hanno portato vari media a parlare di guerra imminente, facendo leva sulle dichiarazioni bellicose di entrambe le parti. In realtà, nonostante le tensioni rimangano, in particolare nei comuni del nord, nessuno ha interesse in un’escalation che non porterebbe vantaggi a nessuna delle parti in causa. La presenza della NATO in Kosovo, inoltre, rende di fatto impossibile alcuna operazione militare serba contro la sua ex provincia. Non sorprende dunque il recente diniego della NATO alla richiesta, piuttosto velleitaria, di Vučić di inviare militari serbi in Kosovo.
Le tensioni, piuttosto, sembrano essere legate agli sviluppi ad alto livello diplomatico. Sono sempre più insistenti le voci di un possibile accordo tra Kosovo e Serbia da raggiungere entro la primavera, sulla base del cosiddetto piano franco-tedesco appoggiato anche da Stati Uniti e Unione europea. Per quanto il contenuto non sia stato reso pubblico, tutti gli attori in causa ne hanno parlato apertamente. Mentre Kurti ha fatto intendere che Pristina è pronta ad accettarlo, pretendendo nell’ultimo round negoziale mediato dall’Unione europea delle rassicurazioni da parte di Bruxelles sul proseguimento del dialogo sulla base del piano per raggiungere un accordo finale tra Kosovo e Serbia nel 2023, la Serbia si è mostrata apparentemente contraria. Secondo le indiscrezioni, difatti, il piano garantirebbe un sostanziale riconoscimento della sovranità del Kosovo, aprendo la strada al riconoscimento da parte di altri Stati e all’ingresso del paese in diverse organizzazioni internazionali. Proprio questo, dunque, potrebbe spiegare le mosse dei serbi kosovari delle ultime settimane, parte di una strategia voluta da Belgrado per alzare la tensione e congelare la situazione.
Le ripetute visite di inviati americani ed europei a Belgrado e Pristina lasciano intendere che il piano va avanti, ed è in atto un tentativo di avvicinare le parti. Uno dei temi caldi resta la formazione dell’associazione dei comuni serbi del Kosovo, un organo previsto dagli accordi di Bruxelles del 2013 e mai creato dal governo di Pristina, che teme la nascita di una “Republika Srpska” in Kosovo simile a quella bosniaca. Aldilà delle dichiarazioni di netta contrarietà del governo di Pristina, è probabile che l’associazione, da formare in linea con la Costituzione del Kosovo, possa rientrare nell’accordo più ampio, ed essere accettata da Kurti in cambio degli evidenti vantaggi del piano franco-tedesco.
Mentre gli incontri diplomatici proseguono in modo frenetico, le prossime settimane diranno se le tensioni rientreranno o continueranno, e quanto queste influenzeranno le trattative. Un incontro tra Vučić e Kurti non è ancora in programma, ma non si può escludere un tentativo a breve in tal senso da parte della diplomazia europea. La sensazione è che il 2023 possa portare a passaggi importanti, nella speranza di una distensione e di una normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo.