Di Valbona Jakova
Faccio i miei complimenti agli autori di questo libro, a Rando Devole e a Claudio Paravati per l’immane lavoro che hanno fatto nel raccogliere tante testimonianze, sicuramente, scegliendo nella vastità dei casi, quelli più significativi che riguardano la donna albanese, anche se un libro solo, non può rappresentare in un modo esauriente, un intero universo di esistenze.
Hanno pensato bene di parlare di donne albanesi e hannopensato bene in che modo parlarne, usando come strumento, l’arte.
Le donne, per prime, hanno questa attitudine, questa disposizione innata di confrontarsi con l’altro e misurare quanto reggono le loro forze. Accolgono con coraggio le sfide di un nuovo mondo, a volte, mai visto realmente. Tutto ciò succede perché sanno che devono sfruttare il momento tanto atteso per passare dalle favole dell’infanzia, alla realtà, svegliarci dai sogni del passatoper andare all’incontro delle opportunità che offre unavita nuova, per il futuro!
Sono pronte a fare dei sacrifici, anche nella consapevolezza che per ottenere dei risultati, devono versare lacrime amare e che, le delusioni sono parte della vita di tutti noi, importante è, sviluppare i talenti che da tempo attendono a fiorire. Talento e arte hanno significati interconnessi, talento deriva dal greco chevuol dire: Unità di misura di peso, di valore variabile secondo i luoghi e i tempi, invece arte, vuol dire mettere in evidenza il talento inventivo, sicuramente, in senso ampio.
L’arte è l’esaltazione della capacità espressiva umana che, nella sua complessità, interpreta ed esprime tutte le bellezze di questo mondo, e non si ferma qui, ma va avanti nel suo ruolo includendo anche la rappresentazione dei fatti meno belli, ma reali, che hanno come obbiettivo di trasmettere in modo incisivo,varie realtà della nostra epoca, con la missione di attraversare i tempi per essere offerti alle generazioni presenti e future come memoria di un popolo che meritadi entrare nella storia.
Questo libro, pubblicato l’anno scorso, contiene racconti, poesie, opere di arte visiva come pittura,fotografia, ma forse, per una pubblicazione successiva, possono nascere ancora altre idee. Non potendo parlare di tutte le donne di questo libro, ho scelto di commentare solo alcune, anche se avrei voluto tanto di prendere in analisi, la loro scrittura, ricca di sentimenti e riflessioni, a volte filosofiche e analitiche che tendono a scavare tanto in profondità di alcune domande chiavi, per trovare delle risposte adeguate e mi rendo conto che le trovo quasi tutte, dentro di me, e ne rimango affascinata. Prima di parlare di alcune storie, voglio farvi vedere i quadri delle pittrici e le fotografie di alcune donne fotografe.
Le nostre pittrici molto brave, ci hanno regalato le loro bellissime opere. Alcuni dei loro quadri li troviamo in questo libro, la pittura per loro è un’attività parallela molto soddisfacente per esprimere e coltivare il propriotalento.
Fortunatamente abbiamo qui la nostra pittrice Viola Fusha che parlerà di sé e noi abbiamo avuto l’opportunità di conoscere il suo animo ricco di immaginazione, di colori, di suoni musicali rappresentati dalle sue leggendarie chitarre, violino e armoniche che,sulla tela, continuano a fare cerchi intorno all’orbita del mondo, con giri all’infinito. Sicuramente lei, nel suo cuore, conoscendola, propone e offre al mondo, la bellezza delle onde sonore del canto e dei suoni musicali, come dono di gioia e di vita felice.
Estremamente Impressionante anche l’aquila di Lumturije Fortusi, con il suo atteggiamento da dominatrice dei cieli e protettrice dei suoi piccoli, in cui vediamo solo un suo occhio e un’apertura alare sorprendente, che fiera ed enigmatica, sfida il vento. Non è un’aquila come quelle che vediamo nelle fotografie, è un’aquila unica, mai vista da nessuna parte, è un’aquila che è nata in un posto speciale dov’è stata solo la pittrice, è l’aquila della sua immaginazione, solo lei poteva essere lì!
Il pianto di Ajkuna, di Elona Marika, esce con irruenza dalle nebbie mistiche del passato, con tanta magnificenza, con una bellezza incantevole, sconvolgente, aggrappata alla vita con gli artigli dello strazio del suo cuore fatto a pezzi, per la perdita del suo figlio. Questa madre, sulla tomba del suo figlio, chiede conto alla luna, al buio, agli uccelli notturni, agli alberi,dove suo marito lo ha sepolto, gridando perché non l’hanno difeso, e loro tacciono, non possono rispondere, non trovano parole. In “Il pianto di Ajkuna”, ogni donna,può ritrovare elementi di sè.
Naturalmente sono bravissime tutte le pittrici, ma ho scelto sole queste tre amiche che mi hanno colpito in particolar modo per fare il mio modesto commento.
L’arte è anche, qualsiasi forma di creatività o attività creativa. In questo libro troviamo tanti racconti che non sono fantasie o invenzioni di una grande scrittrice. Sono testimonianze, pezzi di vita, storie realmente accadute di tante donne albanesi. Ad ogni creatura è stata data il dono dell’arte. L’arte che costruisce e inventa, lo possiedono anche gli uccelli che quando progettano i loro nidi, fanno dei capolavori di ingegneria.
Una casa, una terra che ti nutre e una stagione che ti dia delle buone speranze di vita, la sognano tutti. Quando l’uomo crea è spinto dalla speranza, ma la speranza nella sua prospettiva riesce a intravedere proiettata il destinonel futuro, o forse vede inconsapevolmente il futuro nel destino? Si dice che coesistono, e così sia, perché non uccidono i sogni. Che ruolo hanno le nostre scelte di vita e fino a che punto possano essere consapevoli fino in fondo?
Mi sono nate queste domande leggendo la storia di Ardjana Toska: Attraversare due mari. Dice Ardjana: a sedici anni fui fidanzata con un ragazzo della città, di sette anni più grande. Il fatto che fosse di città a mia madre piaceva, al punto che mi volle sposa con lui, per potersi vantare con le donne del paese.
Dunque, lei viveva in una zona arretrata dove per anni vigeva la stessa mentalità. Le persone preferivano piuttosto non pensare e continuare per forza delle abitudini ad oziare negli stessi pensieri antiquati, obsoleti, restando immersi nella loro sedenta rietà di atteggiamenti assurdi, derivanti di una soffocante povertà del regime passato.
Per sua madre era molto più importante a far vedere alle amiche ed al suo personale ego, il trofeo, il vanto di una grande vittoria, quella di aver trovato per sua figlia, un ragazzo di città. Di conseguenza, sua figlia molto giovane, si è trovata a subire le penne dell’inferno in tenera età, avendo per marito un delinquente, ma cittadino, e non un uomo onesto, facendo una vita coniugale trasformata in una tirania matrimoniale, finché con la sua grande forza interiore questa figlia, con un modo di pensare diversa dai suoi genitori, ha cercato la via d’uscita. Lei, nella sua grande sofferenza, ha reagiscono secondo i propri Stati dell’Io, riconoscendo sbagliato dentro di sé, l’io del genitore punitivo,ribellandosi, e con spirito di iniziativa, tra mille dolori, patimenti e peripezie è riuscita a costruire la propria vita, la propria famiglia, il proprio nido, quello che i suoi genitori non erano stati in grado di dare. Oggi lei ha scritto anche un libro, nonostante in Albania aveva fatto solo la terza media, ed è riuscita a descrivere la sua vita, con delle qualità di una brava scrittrice.
Molto bello il racconto di Eliza Ҫoba, dal titolo “Il mio zio italiano” una storia estremamente toccante. Esperienze conosciute per noi che abbiamo subito di prima persona, ingiustizie simili. Mentre leggevo il libro,cercavo di immaginare, come in un film, come sarebbe finita la storia l’amore tra Vittoria, la zia di Eliza, con il Caporal Maggiore italiano, in seguito caduto nelle mani dei tedeschi. Ma chi poteva immaginare che il suo destino poteva cadere in mani peggiori dai quelli dei tedeschi, famosi per atrocità, chi poteva mai pensare che esisteva un male peggiore, o mani peggiori, talmente peggiori da strappare le unghie dei piedi e delle mani di un essere umano.
Devo aggiungere che mi è piaciuto molto anche il modo come Eliza ha costruito e descritto questo racconto, che ti lascia con il fiato sospeso.
Mi piace riportare alcune frasi di Joana Preza, lei costruisce il suo racconto (Ritorno, Nostalgia, Infanzia), facendo un’analisi molto bella a queste fasi di crescita, tra Albania e Italia, cercando di capire gli effetti di questi cambiamenti, dentro di sé. Parla tanto di nostalgia, cerca di capire, vedendo con un po’ di invidia, i suoi coetanei di Albania, si chiede s’è meglio qui o meglio in un altro, per scoprire con certezza di cosa vuole realmente, la scuola, la terra, il lavoro, l’amicizia? Scopre poi come l’infanzia sia l’età migliore che influisce la nostra vita. Dice lei e poi concludo:
Sono grata per l’eredità immensa di conoscere un’altra lingua che mi porta in altre dimensioni. Al tono della voce che cambia con lo stravolgimento delle parole, agli aspetti di complicità e apparenze che ne derivano. Custodisco questo grande dono da alimentare. Il ritorno alla dimensione nostalgica mi è impossibile, ma la lingua è la terra che sento sotto i piedi, l’evocazione della nostalgia più intensa, un porto di accoglienza.