Il festival “Mirëdita, dobar dan!” torna a Pristina per la seconda volta in dieci anni, dopo varie edizioni svoltesi a Belgrado. La manifestazione, inaugurata nel 2014 con la speranza di avvicinare Serbia e Kosovo, mira ad aprire spazi di dialogo tra le due società attraverso l’arte e la cultura
La manifestazione
Il 4 maggio scorso, presso il cinema ABC di Pristina, una folla entusiasta si è radunata per assistere alla cerimonia inaugurale della decima edizione di Mirëdita/Dobar dan! (buongiorno, rispettivamente in albanese e serbo), la tre-giorni di festival serbo-kosovaro/albanese che punta a normalizzare i rapporti tra Kosovo e Serbia attraverso l’arte e la cultura.
All’indomani delle terribili stragi compiute in Serbia, il direttore del festival Kushtrim Koliqi ha dichiarato che Mirëdita, dobar dan! desidera inviare un “messaggio di pace, dialogo e comprensione” nei due paesi dopo l’ennesimo episodio in cui “si è sprigionata la violenza”. La manifestazione si è aperta infatti con un minuto di silenzio, osservato in onore delle vittime rimaste coinvolte il giorno precedente in un attacco armato in una scuola di Belgrado. Sofija Todorović, direttrice esecutiva del Youth Initiative for Human Rights in Serbia, ha affermato che il festival serve a “costruire una comunità unita e solidale” e a considerare “azioni concrete che contribuiscano a stabilire un clima di non violenza”, dove venga considerata inaccettabile “qualsiasi forma di aggressione, su qualsiasi bersaglio”.
Come da programma, il primo giorno del festival si è tenuta la proiezione del film “Leto kada sam naučila da letim” (L’estate in cui ho imparato a volare) del regista Radivoje Andrić. Nella seconda e terza giornata si sono tenuti numerosi eventi culturali, come la promozione del libro “Druga Srbija: Srđa Popović” di Shkëlzen Gashi, il dibattito “Drugo nasleđe” (L’altra eredità) in riferimento “all’altra Serbia”, quella cioè che si è opposta alla guerra degli anni ’90; la poesia, con Đorđe Simić che ha letto i suoi componimenti e Mila Mihajlović che ha invece letto alcune poesie dalle raccolte della poetessa Mirjana Narandžić. Il festival si è concluso con lo spettacolo “Bilo bi šteta da biljke krepaju” (Sarebbe un peccato se le piante morissero) di Ivor Martinić, e la consegna del premio che porta il nome della manifestazione, un premio che viene assegnato a coloro che contribuiscono a migliorare, attraverso il proprio operato, le relazioni tra Kosovo e Serbia. Ad aggiudicarsi il riconoscimento quest’anno è stato Bekim Blakaj, direttore esecutivo del Humanitarian Law Center Kosovo(HLC Kosovo).
Durante i tre giorni dell’evento, i volontari locali hanno accolto visitatori e attivisti della regione per condurli alla scoperta di Pristina e della cultura kosovara. Sono stati inoltre organizzati incontri con rappresentanti istituzionali e esponenti della società civile, al fine di discutere azioni concrete per promuovere il dialogo e favorire un clima di pace e cooperazione.
Il ruolo dell’arte e della cultura
Al suo decimo anno di attività, Mirëdita, dobar dan! si ispira alla personalità e all’operato di Bekim Fehmiu, il primo attore dell’Europa orientale a diventare una star negli anni della guerra fredda. Secondo Sofija Todorović, infatti, Fehmiu – albanese nato a Sarajevo e morto a Belgrado, dove ha trascorso gran parte della sua carriera – rappresenta “un simbolo di unità e benevolenza”, attraverso cui incoraggiare il confronto tra i cittadini serbi e albanesi, promuovere scambi culturali e contribuire alla normalizzazione delle relazioni tra i due paesi, in un momento in cui i rapporti tra Kosovo e Serbia restano – da anni – assai tesi e complicati. Ed è proprio per questo che il festival in questione vuole promuovere l’arte e la cultura come canali di comunicazione e veicoli di riconciliazione: perché la bellezza non conosce etnie, e l’arte aiuta a trovare nuovi linguaggi per comunicare, abbattendo pregiudizi, stereotipi e barriere linguistiche.
Lo sanno bene gli artisti e gli attivisti serbi e kosovari che insieme si sono riversati in tutti i siti culturali di Pristina per gli eventi del festival. Eventi che, data la natura e lo scopo della manifestazione, spaziano tra diverse tematiche: discussioni sui movimenti di resistenza serbi, dibattiti e forum sulla deriva autoritaria di alcuni governi locali, serate di poesia sulla memoria delle violenze passate e presenti, sui traumi della guerra. Temi diversi ma con la stessa finalità: promuovere il dialogo e la comprensione reciproca valorizzando la diversità delle esperienze vissute. Dopo tutto, il titolo del festival è il modo di dire “buongiorno” nelle due lingue coinvolte, il serbo e l’albanese. Nell’idioma albanese l’augurio del buongiorno si traduce con “mirëdita”, e “mir”, in serbo, vuol dire pace.
Un’accoglienza calorosa
Gli eventi in calendario hanno incontrato l’entusiasmodella gente, specialmente dei più giovani, i quali, grazie alla freschezza del loro approccio verso le tematiche trattate, sono forse più consapevoli dell’importanza del dialogo per costruire una società empatica, inclusiva e tollerante, ma anche di quanto tensioni e stereotipi paralizzino gli scambi culturali, soffocando così la già fragile essenza cui ambiscono il festival e gli altri progetti analoghi nei Balcani: la riconciliazione.
Non solo giovani, però. Ogni anno infatti il pubblico accorre numeroso, a dimostrazione della volontà dei popoli di infrangere le barriere nazionaliste. Sono molti gli artisti serbi che hanno partecipato alla decima edizione del festival, e tra di loro, alcuni hanno calcato il suolo kosovaro per la prima volta. Così è stato ad esempio per Zlata Ristić, esponente del gruppo rap tutto al femminile Pretty loud: “Non eravamo mai state in Kosovo, ma è importante esibirsi qui, per far sentire il nostro messaggio di pace e tolleranza”.
Alla sua seconda esecuzione in quel di Pristina, Mirëdita, dobar dan! ha ricevuto un caloroso benvenuto, in evidente contrasto con quanto accaduto a Belgrado nelle edizioni precedenti, dove i movimenti di estrema destra hanno disturbato il regolare svolgimento della manifestazione. Movimenti che, in una Serbia guidata da una classe dirigente sempre più nazionalista, proliferano e agiscono con la silente complicità di chi governa. Ma come spesso accade, la società civile – specialmente i giovani – è di gran lunga più avanti in quel cammino che chiamiamo progresso rispetto alla classe politica (e religiosa) che pretende di rappresentarla.
E se chi ha il potere vuole che il mondo resti ancorato a tradizioni, identità e ruoli geostorici ben definiti, nel frattempo chi vive in quel mondo tutti i giorni è già, appunto, oltre, sta già aspettando che anche la classe dirigente si evolva, si metta al passo, così da salutarla, quando sarà il momento, con un cordiale mirëdita, dobar dan!
Foto: Pagina Facebook del festival/ East Journal