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La lingua come identità nazionale dal De Vulgari ai Promessi Sposi

Di Pierfranco Bruni

La questione della lingua da Dante in poi ha significato sempre un fattore politico. Ha inciso all’interno dei processi storici con una pragmatica soluzione identitaria. Si pensi al Dante del “De Vulgari Eloquentia” o al Machiavelli che intreccia una lingua amministrativa fiorentina con spartiti letterari. Si pensi al Manzoni delle prime opere e alla rivisitazione ultima del suo romanzo. Si cercò il senso della patria come valore proprio nel linguaggio tra popolare-volgare ed estetico-aristocratico. Chi fuse i due emisferi fu proprio Manzoni. 

Alessandro Manzoni resta, chiaramente, un punto di una importanza notevole sul piano della identità nazionale. Di una destra “liberale” nella storia dell’unità d’Italia ha sancito un “patto” indelebile tra la lingua italiana e i linguaggi considerati espressione etnica delle aree, micro e macro, del tessuto territoriale nel concetto di “Patria”. 

Fu il costruttore di una lingua che sancì, proprio nel suo incarico istituzionale della Commissione nazionale sulla lingua, una koinè ufficiale assorbendo la lezione di Dante filtrandola attraverso la tradizione che passa dall’Umanesimo ad un Rinascimento non per nulla omogeneo (si pensi a Machiavelli, a Bembo, e al linguaggio allegorico da Ariosto a Tasso) e da qui a tutta la “rivoluzione” illuministica: dalla cultura napoletana a quella lombarda, a quella spagnola in una sintesi che tocca le sponde di Parini, Foscolo e Leopardi sino al dialettismo di Porta che supererà addirittura il Novecento come intreccio di metafore che saranno contestazione ermeneutica negli anni che preparano il Futurismo. 

Profetico il suo dare filosofia filologica alla lingua e ai linguaggi. Manzoni, dunque, è lo snodo, oltre al dettato del romanzo e del tragico, che suggella una lingua che non è soltanto semantica o linguistica pura ma è definizione di una linea in cui la lingua deve essere un sapere universale in una contestualizzazione profondamente storica. 

L’unità d’Italia trova nel suo lavoro un percorso che si trasporterà nella istruzione con una forza metodologica che darà la direttrice anche ad una pedagogia della lingua e soprattutto ad un insegnamento che ha come riferimento l’educazione al ben parlare. Ovvero il parlare corretto, educato e unico. 

Di questo ne terrà giusta considerazione la Riforma Gentile della scuola del 1923 sulla quale si è imposta la base di una discussione interdisciplinare per innovarla dentro le società in transizione sino ad oggi. 

Prima della visione di una “comunicazione totale” Manzoni è stato il pilastro di un vocabolario della lingua italiana filtrata successivamente dalla creatività dannunziana entrata nel cinema e nella canzone. Ma il cinema si è servito dell’immagine. La canzone della musica. 

Manzoni aveva come strumento la comparazione: il suono della parola, la conoscenza delle radici del significante, la storicità delle diverse parlate. Da una eloquentia volgare si è passati, con Manzoni, ad una eloquentia verbale raffinata e ad una scrittura necessaria apprendibile e comprensibile a tutti. L’obiettivo aveva questo indirizzo e comunque ebbe un ruolo di straordinaria valenza politica perché si capì l’importanza di una lingua comune anche in termini di linguaggi amministrativi e burocratici. 

In fondo Manzoni siglò l’idea di comunità linguistica identitaria che diede il senso a quella chiave di lettura del Risorgimento che si aprì alla realtà identitaria, nazionale e patriottica. Non solo (o non tanto) la politica poté dare un orizzonte alla italianità quanto il Manzoni linguista, italianista, filologo della parola. Il suo romanzo resta l’emblema di tutto ciò. 

Questo è uno dei temi portanti del lavoro e saggio su “Manzoni. La tradizione in viaggio” edito da Solfanelli (Marco Solfanelli editore). L’unità politica è nel progetto manzoniano dell’Italia unitaria. Certo, ci fu la trincea sopratutto della Grande Guerra a creare un mosaico delle parlate. Ed è appunto dalla parlata dell’Ottocento che di entra nel vocabolario delle trincee dove di incontrarono le diverse Italie. Ma a dare una dimensione semi omogenea alla lingua, non alle parlate, ci pensò proprio Manzoni dal 1861 in poi. Da Dante ai Promessi Sposi la lingua ebbe sempre l’obiettivo precipuo di dare voce all’identità nazionale.

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