MARIA TERESA LIUZZO:
MIOSOTIDE
di ROBERTO NESPOLA ( Poeta – Saggista – Traduttore – Critico Letterario)
La blessure de l’eau dans les pierres du jour. Yves Bonnefoy, Une Voix, Hier Régnant Désert
Già al primo testo il risveglio della Natura, come nel ”Titan” mahleriano, traccia in un solo tratto l’intero orizzonte semantico e simbolico di questa raccolta. Subito i fremiti primaverili si coagulano nel destarsi del dio Pan, il dio dei campi della natura, del Tutto. Il Segno, seme e corpo, abbandonato, abbandonato tra i solchi del corrugarsi della fronte – tra le pieghe della pelle -, s’è già predisposto nel rizoma del testo, come un eros dai rimandi indefiniti, tracce di differenza.
Seme e sema (σημα), dunque: segno e tomba; anche il corpo è un seme, la morte stessa un germoglio. A partire da questa traccia si dispiega la tessitura dei testi e lieve affonda sotto oscuri passi la neve (”leise sank vondunklen Schritten der Schnee”), per usare anche un testo di Trakl in cui descrive lo sciogliersi della neve in primavera e lo schiudersi delle viole sui muri diroccati dell’esistenza. Questo verso, nella poesia di Maria Teresa Liuzzo, diventa tragitto e direzione ma soprattutto, si trasforma in percorso e redenzione – pur nell’enigma. ” E noi stesso ci specchiamo, angeli/ negli abissi e demoni nei cieli”, scrive, poiché la dialettica per antonomasia, quella del lux lucet in tenebris, apertura e chiusura continua, si fa qui movimento di sistole e diastole, anello di una circolazione di senso che non ha mai requie, che trascolora continuamente in infiniti sé, mai stessi. L’io lirico della Liuzzo è come la monade di Leibniz: isolamento del tutto, sostanza in cui tutto tiene, in cui tutto è connesso al non visibile, dove l’immanenza è trascendenza pura. In questa visione, l’esserci, in sestesso, è già un connettersi all’esistenza, proprio attraverso l’immagine (quella necessità che c’inchioda alla coscienza) – ma non solo -. Dal momento che si siamo compromessi nella scrittura, la misura del giusto trobar sta nel cercare di comprimere in quest’immagine una personalità il più possibile compatta mentre rugge in noi un caos che non può farsi immagine – forse una hybris, un furore che vorrebbe trascendere l’universo esaurendolo in tutte le sue combinazioni possibili e concentrandolo tutto nel decor, là dove la profondità del pudore e l’ardore dello slancio poetico s’incontrano.
La potenza del canto in questa poesia, dunque, da un lato disgrega, poiché penetra nell’intimo del reale, descrivendolo, ossia tracciando confini, ma nel contempo, dall’altro, è in grado di superare a piè pari qualsiasi scissione nell’incauto del melos che rispecchia la meraviglia del creato, del corpo e delle emozioni.
La doppia dimensione dell’eros che è apertura all’alterità ma anche ferita, lesione densa di rifrazioni di luce, trova completezza come desiderio, nella sehnsucht infinita che eccede in una dimensione mistica: monadica e trascendente insieme. Maria Teresa Liuzzo è così riuscita a coniugare densità metaforica di pensiero e chiara bellezza delle immagini poetiche.
Se ermetismo c’è in questa silloge, in alcuni suoi grumi simbolici, è nel senso originario del termine o per meglio dire, è nel Senso – nella sensualità e nel significato: è nella radianza mistica.