Il rifugio per cuori indifesi
di Simone Principe
La nuova silloge poetica Del vivere di Daniela Dante è una rappresentazione, appunto, del vivere.
Ogni vissuto ha la propria originalità, non può esserci nulla di similare nella vita delle persone, a volte si ha bisogno di crederlo, ma niente ci rende simili nel vivere la vita, se non il principio della sacralità della vita stessa.
Rispettare la propria esistenza, è un passo per rispettare quella altrui, per cercare di comprendere il modo in cui un’altra persona possa concepire il vivere, come in effetti sia coerente con la propria concezione e quanto di concreto metta in atto, prendendo in considerazione l’inevitabile, che si cela dietro pareti funeste.
Questo fa sì, o dovrebbe, che in noi si sviluppi empatia e compassione, poiché come noi soffriamo, altri soffrono e come vorremmo essere aiutati nel bisogno, è umanamente giusto prima immedesimarsi per comprendere, poi fare il possibile per aiutare.
L’autrice ha chiara questa visione, che non è una rappresentazione della mente di un qualcosa, ma un ideale che è frutto di un processo millenario di sviluppo umano, il quale sembra regredire, ma in questa silloge ha il suo ricovero, il suo riposo.
Siamo noi “l’altro”, il volto che diamo alla nostra capacità di amare, di non odiare. Qui la poetessa ci illumina col caloroso raggio che dal suo cuore passa attraverso la penna “L’altro, proiezione della mia capacità di amare, si fa oggetto di cura”. “Cura come prossimità, cura come fattività o estasi di stupore di fronte al mondo”.
L’uomo da sempre nomade, ha riscontrato nel viaggio la scoperta. Scoprire equivale ad evolversi, non restare mai indietro, conoscere qualcos’altro che non si trova nella nostra sfera abituale. Viaggiare non è solamente scoprire nuove terre, nuove culture, viaggiare è soprattutto prendere coscienza che non è il mondo a girare intorno a noi, ma noi intorno ad esso. Andare incontro a nuovi corpi contenenti preziosa vita, a volti che mostrano un’anima, a “destini non eguali” che però condividono la stessa mortale umanità.
Non occorre solo il viaggio e la poetessa n’è cosciente, poiché sa che un posto sicuro è il luogo dove ognuno ha il suo piccolo mondo.
(…) torno a casa / nel mondo / con me / più sorelle / più fratelli / più luce.
La poesia di Daniela Dante, è un rifugio per cuori indifesi, lasciati a battere da soli, saccheggiati da quell’armonia che permette di alzare gli occhi al cielo e vedere l’arcobaleno. Non solo, è un’istantanea della natura, con la sua forza, la sua dolcezza, il suo equilibrio, il suo oltraggio, la sua bellezza.
(…) frantumata / era musica / di risacca / di tuono / in arrivo / chiamava, chiamava / i nostri nomi (…).
La poetessa ha la sua luce, ed è nella notte. Cantata dai poeti, oltraggiata da chi non vede che solo buio. Nell’opera è fortemente presente poiché è la scenografia dei sogni, dei pensieri, dei ricordi, a cui tutto si lega.
Così mi saluta la notte, / con una luna diamante / nel cielo / ch’è tavola di luce / dopo il temporale (…).
Ci sono cose che nemmeno il buio della notte può celare, poiché splendono di luce propria. L’amore non può essere nascosto, è come il fuoco sacro simbolo di eternità dell’Urbe, che seppure non lo si vede, esso c’è, e non smette di dare la sua fiamma. L’autrice la alimenta con delicatezza, osservandone il mutamento e come una vestale se ne prende cura, per far sì che non si spenga.
(…) il mio amore è una torcia ardente / una fiamma sanguigna / lambisce l’anima, / nel qui e ora il ricordo (….).
Le ultime pagine della raccolta racchiudono dei quadretti, ognuno raffigurante dei dipinti o sculture, dai quali la poetessa ha trovato ispirazione, tanto che per ognuno c’è una poesia affine.
In “Del vivere” c’è la commistione tra realtà e rappresentazione artistica, il che non vuol dire finzione, tutt’altro, sta a rappresentare una diversa visione dell’esistenza, che potrebbe essere anche più vera, più vicina alla purezza.
Dora e bardhē…
E megjithatē unē ndjej zemrēn tēnde
ndērsa natēn vras trupin tēnd,
vakēt pērkēdhel humoret e tua
qefin lotēsh midis gishtrinjēve tē mij
ēndrra shuan fjalēn dhe gjestin
po rizgjimi ēshtē mē i verbēr se sa nata.
Tē kam vrarē e tē kam larguar
hero i rēnē dhe krenar, por te largimi
qēndron ende dēshira, kujtimi
shumē hēna duhet tē kalojnē pērtej malit
e parashikime yjesh tē qetēsojnē mbrēmjen
qē shtrihet mbi zaje gurēsh tē shpērndarē
po pres erērat e veriut tē ngre
varkēn e ēndērrave
pres dallgēn qē mē tērheq
shpirti i bardhē nē Eden
thur vela tē gērshetuara
me dashuri tē dlirē e fluturime turtulleshe.
Pres nē ajrin e kthjellēt tē dēgjoj
tingullin e harpēs tē pērhapē melodi,
largohet e heshtur, e ngrirē
dora e bardhē e ēndrrēs
duke lēnē vetēm gjurmēn
e njē rrēqethje tē kristaltē.
Përktheu Valbona Jakova
DANIELA DANTE
La mano bianca
eppure lo sento il tuo cuore
mentre di notte uccido il tuo corpo
accarezzo tiepidi i tuoi umori
sudario di lacrime tra le mie dita
il sogno spegne la parola e il gesto
ma il risveglio è cieco ancor più della notte.
T’ho ucciso e allontanato
eroe caduto e fiero, ma nella lontananza
sta ancora il desio, il ricordo
molte lune devon passare oltre il monte
e presagi di stelle ad acquietare la sera
che si stende a ciottoli sparsi
aspetto i venti del nord a sollevare
la barca dei sogni
aspetto l’onda che mi trascina
anima bianca nell’Eden
tesso vele intrecciate
di candido amore e voli di tortora
Aspetto nell’aria tersa d’udire
il suono dell’arpa spargere melodie
si allontana silenziosa, gelida
la mano bianca dal sogno
lasciando soltanto l’orma
d’un brivido di cristallo
IL LUPO, LA LUPA
Esce fumo
dalle nari
del lupo,
il bosco
è bianco
il cielo
è bianco,
come fosse
il giorno prima
prima del tempo
dell’uomo,
nulla vola,
il sole è una bocca
aperta e sospesa
sul filo chiaro
oltre gli alberi,
la terra è un tessuto
telo grezzo, sacco
incolore
d’improvviso
il lampo
rompe
il bianco del cielo
oltre,
-c’è un oltre
ed è blu
rapace che inghiotte
il sole
-boccone ingordo
della notte-
Nato da un lampo
il tempo,
-un tempo sarà
per l’uomo
per la donna
sarà-
Dal buio
intreccio fitto di tronchi
esce la lupa
quieta, altera
guarda, annusa,
gira intorno
si ferma
il lupo, la lupa
odore di vita
fino all’inizio del giorno.
UJKU, ULKONJA
Del tym
nga flegrat
e ujkut,
pylli
ёshtё i bardhё
qielli
ёshtё i bardhё,
sikur tё ishte
dita e parё
para kohёs
sё njeriut,
asgjё nuk fluturon,
dielli ёshtё njё gojё
e hapur dhe pezull
mbi fillin e zbehtë
pёrtej pemёve,
toka ёshtё njё copё
basme e ashpёr,thes
i pangjyrё
papritur
rrufeja
çan
bardhёsinё e qiellit
pёrtej,
– ёshtё diçka pёrtej
dhe ёshtё blu
grabitqare qё gёlltit
diellin
– kafshatё grabitqare
e natёs –
E lindur nga një rrufe
Koha
-një kohë do të jetë
për burrin
për gruan
do të jetë-
Nga errësira prej
thurje të shpeshtë tungjesh
del ulkonja
e qetë, e madherishme
sheh, nuhat,
sillet rrotull
ndalet
ujku, ujkonja
mban erë jete
që në fillim të ditës.
Traduzione Valbona Jakova