(Chi resta Dimentica; Chi parte, Studia Ricorda Valorizza e Tutela da remoto)
NAPOLI
(di Atanasio Pizzi Architetto Basile) –
L’acqua scorre e segue il tempo, ma il tempo non si ferma, mentre
l’acqua si arresta, cambia itinerario, fa solchi, segna i luoghi e, le persone che osservano dalle rive, prendono spunto
dai suggerimenti naturali e, costruiscono sostenuti dal tempo le case che si elevano senza sosta.
A tale scopo si vuole elevare la memoria, dei luoghi dove le vie, i vicoli, piazze e orti; gli stessi che fanno e sono onomastica, di memoria come: Lavinë, Parerë, Trapesë, Stangò, Vallj, Cangellë, Sentinë, Morrë, Kopëshët, ecc., ecc.,
ecc.
Valgano come esempio primo i Lavinai, di refluo e torrentizio che scorrono attraversando da monte a valle quelli che
poi sono divenuti centro antico, grazie a questi fondamentali corsi naturali, dove attingere oltre all’acqua anche la
sabbia per la crescita dell’edificato per fare le vernacolari chiese e case.
Vera risorsa, dove attingere sabbia, in diverse grammature ed usi, grazie alle quali, vennero edificate le antiche chiese
dei centri arbëreşë a cui fecero seguito le case di ogni ordine e grado.
Lo scorrere dell’acqua rifiniva la sabbia, dirigendo verso valle, in quelle aree di iunctura urbana, dove a forza di rotolare
si depositavano finemente in diversa grammatura, prima che l’acqua prendesse la via dei torrenti per giungere nei fiumi e poi nel mare.
In tutto acque che scendono da monte, segnando i tracciati, poi divenuti progressivamente strade e scalinate, in quel tempo, indispensabili per orientare le necessità dell’uomo, secondo un progetto naturale di centri antichi, in avvio di crescita.
Ed è così che tutto diviene, percorso che conduce e da forma agli antichi rioni, a cui il tempo da in seguito valore in
forma di Vie, Vichi, Case, Archi e Orti, i fondamenti per allestire i tipici Sheshi di iunctura Arbëreşë.
Come la storia, il tempo alimenta e talvolta tace, o tiene velate le cose dell’uomo; tuttavia, quest’ultimo, rimane vigile e in attesa che le sia ridata voce e agio per agire, proprio lì dove l’acqua emana un eco di ascolto, perché scorreva o cade, segnando i luoghi e per l’ascolto e la memoria dell’uomo.
Infatti è stato sufficiente lasciarla libera di scorrere, e l’acqua compone secondo natura, quei percorsi seguiti dagli uomini, che diventano espressione di iunctura sociale di famiglie legate da consuetudini antiche silenziose parenti strette del tempo che non si ferma mai; o meglio tessitura di trame di acqua e di tempo, come fa l’uomo e la natura, che non abbandona mai i luoghi della convivenza.
Ho sempre immaginato che l’edizione di un testo, portato a buon fine, potesse sollecitare i migliori propositi revisionando e arricchire le cose della storia e la scienza in contenuti senza riserve, in tutto dare vivacità e “freschezza” come lungo i lavinai del passato, hanno consentito di attingere e poi in epoca moderna lo scorrere condiviso del tempo segnasse con toponimi quei luoghi.
A tal proposito si vuole ricordare un luogo comune di acqua su base ottagonale, da cui si osservava la credenza il sociale e dei cinque sensi arbëreşë, in rappresentanza di tutto il centro antico in rilancio, dopo gli inverni del secondo
conflitto mondiale.
Lo stesso che dagli anni ottanta del secolo scorso, venne strappato dalla prospettiva di memoria locale intelligente per essere, posto molto di lato, senza una cognizione di causa, negando prima lo scorrere del fondamentale liquido
indirizzato per unire, dissetare e purificare le vesti delle menti locali.
Ed è così che il deserto storico, sociale, religioso ha inizio e prendere il sopravvento; la pietra cementizia ottagonale, diventa, per diversi decenni deserto di memoria, poi apparisce impropriamente alimentato con riciclo offensivo e demenziale, in speranza che unisca le persone a cui è vieto di usarla, in tutto incarcerare gli atti sociali e di fede, che dissetano le persone e le menti genuine.
Ed è così che il quadrangolare fontanazzo, evidenzia solamente le pene dell’acqua, che non scorre come fa la Storia, ma gira su sé stessa, come un cane che cerca di mordersi la coda.
In questo breve sicuramente mancherà la citazione degli attori principali ma, il testo resta analisi generica di luogo, giacché da quando il riciclo ha avuto inizio, della Storia del Katundë, tutto è diventato piatto e senza nulla da sfogliare
di storia buona, come fa l’acqua che segna e fa strade buone.
Senza soffermarci sulle sorgenti naturali che hanno abbeverato e reso fertili le terre adibite ad orti familiari o botanici
di farmacologia antica, la nostra attenzione va al torrente e alle fontane storiche in prima analisi e, poi al noto “Civico Acquedotto”.
Per lavare igienizzare o sanificare cose, un tempo i Katunàarj si recavano nei denominati (Ronzj), lungo il corso dei
torrenti locali sempre presente per scelta strategica di genio locale; mentre per abbeverare erano le fonti, germogliate a
seguito di depressioni locali a indicare il luogo, con smottamenti storici, per questo non edificabili, e sino alla fine degli anni sessanta, mai nessuno ebbe fiducia di elevarvi case, stalle o altro tipo di rifugio, se non orti e produrre eccellenza ortofrutticola, ricercata sin anche nell’agro dei cunei agrari.
Note erano, Patate, Zucchine, Pomodori, Fiori di Zucca, Fagioli, Ceci, Piselli, Taccole, Cipolle e come non ricordare,
l’inconfondibile basilico e l’ornamentale prezzemolo.
La novità storica per una nuova acqua, giunse nel dopo guerra, quando venivano inaugurati a rotazione i “Civici Acquedotti” agio e comodità, di futuri più limpidi dei Katundë, anche se in poco più di un decennio, questa bolla di acqua, andò sempre più ad esaurissi e, con essa si è anche accodata la storia dei Katundë, quella che avrebbe dovuto studiare per capire, preservare, tramandare cose buone e, non povertà di memoria, questo almeno sino ad oggi, dove a mancare è proprio la fondamentale Acqua.
P.S. – Katundë; dove oggi il tempo e l’acqua, van per mano e riempiono buche, e ingannano l’ignaro viandante.
Atanasio Arch. Pizzi Napoli 2024-07-21