Home Approccio Italo Albanese Sonila, dalla guerra in Albania alla battaglia per l’integrazione

Sonila, dalla guerra in Albania alla battaglia per l’integrazione

Il suo nome, Sonila, in albanese non ha un significato particolare. A Tirana, 37 anni fa, suo padre decise di chiamarla così perché il suono che le sei lettere emettevano pronunciandole, una in fila all’altra, gli ricordava una parola italiana un poco più corta ma capace di illuminargli gli occhi: sogno.

E una bambina che arriva quando è molto desiderata è davvero la realizzazione di uno fra i desideri più grandi che ci possa essere. Non a caso l’amore e il sostegno ricevuto sin dall’infanzia dai suoi cari è stato il motore di questa ragazza nata e cresciuta nel Paese delle aquile in uno dei periodi più duri della storia.

Dal 1998 Sonila Alushi vive a Bergamo e tra le tante attività che svolge (è moglie, mamma e imprenditrice), è molto attiva nel sociale. Un impegno che con determinazione, e qualche sacrificio, porta avanti da quando si è trasferita in città, a seguito delle rivolte civili in Albania.

Dapprima è stata una sorta di tutor a sostegno delle matricole straniere che arrivavano all’Università degli studi di Bergamo, perché superassero agevolmente tutte le difficoltà burocratiche che aveva vissuto lei al suo ingresso in ateneo.

E, con il tempo, all’interno di associazioni che riunivano la comunità albanese presente sul territorio. Oggi Sonila è presidente di «Migra», la neonata fondazione con sede a Roma che, senza scopo di lucro, si occupa di integrazione e dialogo tra le culture.

Il prossimo 4 novembre parteciperà al convegno dedicato all’imprenditoria femminile albanese, organizzato nella capitale dal mensile «Confronti». «In questo incontro – anticipa – dirò che non sono una wonder woman.

Tutto quello che ho realizzato, l’ho conquistato grazie al sostegno di mio marito, che prima di tutto è un compagno di vita, dei miei figli che con pazienza rispettano il mio impegno nel lavoro e nel sociale e delle nostre famiglie d’origine che ci aiutano e sostengono. Il mio, il nostro, è un grande lavoro di squadra».

 Un messaggio forte per una donna che arriva da un Paese affascinante ma anche molto duro come il suo. «A Tirana – confida – ero circondata da un clima di maschilismo in cui le donne faticavano a realizzare i propri sogni».
Sonila non è arrivata in Italia su una nave della speranza. In tasca aveva un regolare biglietto aereo, un visto per studi e ad attenderla c’era uno zio già da qualche anno a Bergamo.
Eppure, giunta all’ombra delle Mura venete, non è stato tutto in discesa: ha subito discriminazioni per le sue origini e, per mantenersi l’università, purtroppo mai conclusa per gli impegni di lavoro, si è adattata anche a fare i mestieri più umili.
Da allora di strada ne ha fatta questa ragazza di Tirana che guardava la tv italiana. Oggi, con suo marito Olger, è co-titolare di due imprese attive nei settori edile e dei servizi che danno lavoro a 14 persone.
Dice, mentre i suoi occhi verdi si fanno via via più lucidi: «Talvolta guardo i miei bambini Enian e Dea, di 9 e 8 anni, che crescono sereni in una bella città come Bergamo. E mi emoziono». Sì, i sogni di Sonila sono stati più forti di tutto. Alla fine ha avuto ragione il suo papà: questo era il nome perfetto per lei./Bergamo.Corriere.it
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