Venerdì 4 novembre 2016, presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso, ha avuto luogo il convegno “Donne d’Albania. Tra migrazione, tradizione e modernità“.
L’obiettivo del convegno è stato quello di riflettere insieme, nel corso di un’intera giornata, sul futuro dell’Albania a partire dal ruolo giocato dalle donne nel processo di integrazione del paese in Europa, con uno sguardo sulla diaspora in Italia e uno sulle buone prassi in Albania.
Tra gli interventi della giornata vi proponiamo quello di Sonila Alushi, Presidente della Fondazione Migra e Collaboratrice di Albania News
Il progresso delle donne è il progresso di tutti
Sono più di 100 milioni nel mondo le donne che sono emigrate e che attualmente vivono fuori dal loro paese d’origine. Un fiume di donne che attraversa i Paesi del mondo e che ha superato gli uomini di quasi due punti percentuali e che entra con meno difficoltà nel tessuto sociale della nazione ospitante. Questo impatto in un contesto sociale diverso da quello in cui sono nate e cresciute e in cui si trovano a vivere, le porta necessariamente a una autonomia che non avevano nei loro luoghi d’origine. Diventano agenti di se stesse, guadagnano e inviano i soldi a casa, assimilano con più facilità le abitudini del Paese ospite e le trasmettono alle generazioni future diventando un potente veicolo di integrazione.
Un aspetto molto interessante è la crescita notevole della loro autostima, basata su una libertà e possibilità di decisioni che non avevano conosciuto prima in maniere così determinante. Sarà anche per questo che molte immigrate, dopo anni di lavoro e di sacrifici come lavoratrici dipendenti, nelle case degli italiani o nei ristoranti, nei laboratori di confezionamenti di abbigliamento e nelle fabbriche, fanno il grande passo e si mettono in proprio.
Ergo le cittadine di origine straniera non si possono più descrivere solo come lavoratrici domestiche, dedite ai lavori di cura e di compagnia per il tempo libero. Oggi sono imprenditrici e lavoratrici autonome degne di nota, grazie ai numeri importanti che le coinvolgono:
Sono più di 100 mila le donne immigrate imprenditrici. Gestiscono imprese di servizi, di abbigliamento, agenzie viaggi ecostituiscono ben il 16% di tutta l’imprenditoria femminile in Italia. Un dato ancor più significativo se pensiamo alle maggiori difficoltà che possono incontrare nella conciliazione tra lavoro e famiglia, in assenza di reti parentali consolidate, come accade invece per le lavoratrici autoctone. Un dato particolarmente interessante è la crescita costante della imprenditoria femminile: oggi quasi un quarto sul totale delle imprese degli stranieri é gestito dalle donne. Secondo il Censis, negli ultimi cinque anni le imprese guidate da donne straniere sono aumentate del 3%
I settori più scelti per mettersi in proprio sono i servizi (85,6%), in particolare il commercio (39,1%) e il turismo, tra alloggio e ristorazione (12,7%). È quanto emerge da un’elaborazione dell’Ufficio Studi della Camera di Commercio
Dal Rapporto Immigrazione e imprenditoria 2014 del Centro studi e Ricerche Idos/Immigrazione Dossier Statistico emerge che le comunità immigrate con maggiore spirito imprenditoriale sono quella marocchina, nigeriana, rumena, cinese e albanese. I settori di maggior interesse sono il commercio e il settore dei servizi, le province predilette quelle di Roma e Milano. Interessante il fatto che l’imprenditoria femminile albanese lavora molto nel campo dello slow foodcome le signore di Permet e del loro gliko. Oppure il caso di Guri i Zi di Shkodër che come loro, molte altre imprenditrici albenesi, appartengono alla categoria “imprenditrici circolanti”: Sono donne che partono dal paese d’origine con l’idea precisa di realizzare degli scambi commerciali di piccola portata, attraverso la vendita di prodotti locali in Italia, particolarmente richiesti dalla popolazione immigrata. In questo modo le imprenditrici riescono ad assicurare un impiego alle donne nel paese d’origine; conciliano l’attività lavorativa con la famiglia, perché hanno la possibilità di scegliere quando spostarsi; sono legittimate nella loro fase di migrazione perché hanno un motivo importante che giustifica i loro viaggi. E ancora di più lo scambio dei beni materiali e dei prodotti finiti permette lo scambio anche di elementi culturali da paese a paese, che sono in grado di trasformare le famiglie e le società nei diversi contesti in cui si trovano ad operare. Un circolo molto virtuoso.
L’Imprenditoria femminile albanese in Italia la si incontra per lo più nei settori di attività del terziario come alloggio e ristorazione, nel terziario avanzato e cioè lavori intellettuali o l’industria dello spettacolo e il settore della comunicazione di massa; e altre attività e servizi come il settore manifatturiero e l’artigianato. Secondo i dati dell’Osservatorio di Unioncamere, in Italia il 48% degli immigrati albanesi sono donne e si contato quasi 3600 Imprese con a guida una donna, quindi il 12% del totale delle imprese albanesi, classificandoci come la quinta comunità con il maggior numero di donne coinvolte nella imprenditoria femminile immigrata in Italia. Ma considerando anche il fatto che le donne imprenditrici albanesi sono mediamente più istruite degli uomini, (circa il 20 per cento di loro è laureata contro circa il 12 per cento dei colleghi maschi), direi che la strada da fare in questa direzione è ancora lunga. Dati che, per altro, assomigliano molto anche alla situazione degli autoctoni.
Ed è molto interessante notare come le imprese con a capo una donna, e nel nostro caso, anche una donna albanese, siano in linea con le risorse e le tradizioni del paese o la regione in cui sono immigrate. Insomma regione che vai, imprenditrice immigrata che trovi: in Lombardia, Campania e Lazio si trovano soprattutto nelle grandi città e si occupano di servizi alberghieri, servizi pubblici e alla persona, comunicazione e trasporti. In Toscana sono presenti nella manifattura e nel settore artigianale. In Sicilia si dedicano all’agricoltura. Ma soprattutto ci chiediamo, perché scelgono di raccogliere la sfida dell’impresa? Perché si liberano posti anche in questi ambiti, lasciati da italiani che si spostano verso realtà più remunerative e meno impegnative della gestione di pizzerie, panifici e altri lavori pesanti. Inoltre sono una soluzione alla disoccupazione e alla sottoccupazione in generale. Si tratta di un’occasione per uscire dalla segregazione occupazionale che le vuole adatte solo per il lavoro domestico, 24 ore su 24, senza spazio per la loro creatività.
Esiste un profilo tipico della cittadina straniera imprenditrice, e anche qui non ci differenziamo molto dalle altre donne immigrate.
Sono le donne che hanno saputo rispondere ad una domanda di consumo degli immigrati. E anche in questo caso le imprese con a capo le immigrate stanno andando a coprire settori lasciati scoperti e che non entrano in competizione con quelli degli autoctoni italiani. Sono lavori più pesanti e comunque dequalificati che non hanno concorrenti. E sono soprattutto donne nubili che hanno avuto la possibilità di studiare e di ottenere un titolo di studio. Purtroppo i numeri non sono gli stessi per le donne sposate e con figli.
L’identikit dell’imprenditrice
In seguito delle mie ricerche, l’identikitdell’imprenditrice albanese, non si allontana molto dall’identikit della donna imprenditrice italiana o di un’altra e di qualsiasi nazionalità. Questo identikit è quello di una donna in cui persistono elementi contraddittori che però riescono a coesistere. Lei è convenzionale e statica, ma anche innovativa e dinamica.Tradizionale e conservatrice, ma anche moderna ed esploratrice. Per le imprenditrici il successo è costituito da un mix di caratteristiche personali, la principale delle quali (per il 44,7% di loro) è capacità di assumersi responsabilità. Lo stile diverso nella gestione dell’impresa emerge soprattutto nel rapporto con i collaboratori.
Nelle imprese femminili si delega più a donne di quanto non avvenga nelle imprese non femminili. Molto interessante il fatto riguardo alla facilità con la quale le donne riescono ad integrarsi e collaborare con altre donne in un rapporto meno gerarchico e più circolare. Sfatando, così, il luogo comune secondo il quale le donne faticano a collaborare l’una con l’altra perché in rapporto conflittuale. Anche riguardo alla gestione dei ruoli in azienda, l’atteggiamento femminile si può considerare invece più collaborativo rispetto a quanto accade nelle imprese non femminili, dove le scelte organizzative sono assunte prevalentemente dall’imprenditore. Potrebbe essere questo lo slogan che contraddistingue la spinta dell’imprenditoria femminile.
Le imprenditrici registrano livelli di appagamento in genere soddisfacenti. Ma se il raggiungimento dell’autonomia si può considerare un motivo di soddisfazione trasversale tra i generi, la conciliazione tra vita privata ed attività lavorativa risulta una prerogativa tutta interna all’idea femminile di fare impresa. In altre parole, per le donne imprenditrici il lavoro assume una connotazione positiva quando non si pone come ostacolo alla vita familiare.
Un elemento discriminante tra lo stile delle imprese femminili rispetto alle altre è dato dalla loro maggiore focalizzazione al cliente.
La qualità del servizio (61,2%) e l’assistenza al cliente (33,0%), rappresentano punti di forza che l’imprenditoria femminile attribuisce al proprio modello di impresa. Caratteristiche quali l’empatia, la sensibilità, la creatività, la cura del particolare, la capacità di ascoltare, la capacità di negoziare, lo spirito di collaborazione e la capacità di comunicare e altre ancora rendono le donne indubbiamente adatte per ruoli imprenditoriali, con relativo successo annesso.
Infine, un’altra delle caratteristiche più evidenti espresse dall’imprenditoria femminile è l’attenzione per l’adozione di strategie di sviluppo compatibili con la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente. Le donne imprenditrici concentrano la loro attenzione soprattutto verso la gestione dei rifiuti, la scelta delle materie prime e il risparmio energetico.
Ma come vediamo, pur essendo la metà della popolazione albanese immigrata in Italia, solo il 12% delle imprese albanesi è guidata da una donna. Questo fatto, in realtà, non riguarda solo noi: essere donna e scegliere una vita alla guida di un’impresa molto spesso è ancora “un’impresa”: Le donne rappresentano oltre il 50% della popolazione europea, ma ancora poche avviano una propria impresa. La mancata partecipazione delle donne al mercato del lavoro, è cosa nota ed ha un riflesso negativo sul Pil. Secondo le ultime stime Istat sono poco meno di dieci milioni le donne in Italia che nel corso della loro vita hanno dovuto rinunciare al lavoro per motivi familiari. Le donne continuano ad essere trattenute nel lanciare proprie aziende da una serie di barriere tra cui l’istruzione, gli stereotipi, la mancanza di fiducia e la difficoltà di accesso ai finanziamenti ed ai networks. La creatività femminile ed il potenziale imprenditoriale sono una fonte sottoutilizzata di crescita economica e di nuovi posti di lavoro che dovrebbero essere ulteriormente sviluppati. Favorire la creazione di più imprese guidate da donne imprenditrici non solo porterà nuove e creative idee di business, ma potenzierà anche il ruolo delle donne nella società e creerà nuove fonti di prosperità e posti di lavoro.
Ma per riuscire ad esprimerci e realizzarci nel lavoro senza ricorrere a dei sacrifici disumani, abbiamo bisogno dell’aiuto dell’intera società e dell’aiuto dei nostri compagni e amici uomini. Perché quando una donna ha a disposizione gli stessi strumenti di cui dispone un uomo per gestire un’azienda, ha tutte le carte in regola per diventare un’imprenditrice di successo!
La società albanese e italiana è ancora dominata dai maschi, e le regole le fanno ancora loro. Regole vuol dire orari, ferie, permessi, promozioni, carriere. Ergo è con loro che dobbiamo dialogare, spiegare, collaborare. Una società sana capisce che la maternità è un’opportunità. Diventar madri è un master d’alto livello. Si ritorna al lavoro più tenaci, più capaci di affrontare le difficoltà, più mature. Ma i nostri colleghi maschi, come i nostri compagni, come i nostri amici, lo devono capire. Non è questione di legislazione, che esiste. È questione di regole del gioco collettivo. Con queste aspettative, con questi luoghi di lavoro e con questi colleghi, una giovane donna si trova a dover scegliere: figli o carriera. Finché non avremmo la piena consapevolezza di questo problema e la piena collaborazione della società intera, partendo dalla mentalità e continuando con degli aiuto concreti in sostegno della famiglia, non potremmo godere appieno dei grandi frutti che sono capaci di offrire le donne al mondo del lavoro. Perché quando una madre costretta a dover scegliere tra figli o lavoro, per la stragrande maggioranza dei casi sceglierà naturalmente i figli. E fin quando le due questioni saranno incompatibili per assenza di adeguate politiche a sostegno della famiglia e mancata collaborazione tra i generi, il nostro Paese, un po’ anche come l’intera Europa (Paesi del Nord a parte) presenterà un basso tasso di natalità.
Detto questo, i dati ci dicono che sempre più donne ci credono e riescono a realizzare il loro sogno. A dispetto di una burocrazia giudicata troppo pesante, di un rapporto problematico con il credito, di pregiudizi e scetticismo ancora diffusi. Il segreto del successo? La convinzione di potercela fare, il forte desiderio di autonomia, la capacità di ricorrere alle reti familiari, l’attitudine ad andare incontro al cliente e accettare le sfide del mercato. La partecipazione sempre più diffusa delle donne al mondo delle lavoro è un fattore di crescita sociale e culturale fondamentale.
E per tornare a noi, donne imprenditrici albanesi in Italia, posso dire con orgoglio che con intraprendenza e coraggio fanno fiorire imprese un po’ in tutti i settori portando benessere in Italia e ricchezza in Albania. Il mercato è per loro il luogo dove liberare creatività e passione. Apprezzano molto l’Italia e la rispettano. Usi e costumi si sono mescolati a quelli italiani e nel loro pentolone della diversità cuociono ingredienti vari per realizzare una pietanza dal ricco sapore di vera integrazione.