Nota: Pur non condividere tale interpretazione della realtà italo-albanese Perqasje.com lo pubblica senza interferire, pero aspettando ed appellando a chi conosce tale realtà in prima persona di intervenire e scrivere la sua opinione sugli stessi argomenti scrivendoci a: [email protected]
Oggi parliamo di come trasferire “felicemente” una attività italiana in terra albanese.
Vantaggi, svantaggi e burocrazia.
Immaginiamo la solita società italiana che produce, diciamo, orologi a cucù per il mercato europeo.
Ovviamente la vera storia si occupava di altro prodotto, ma questo esempio chiarisce bene il concetto.
Uno stabilimento principale, con duecento operai e due sedi staccate: una che pialla le travi di legno e assembla le casse egli orologi. E una che provvede alle verniciature.
Problemi soprattutto nelle sedi staccate, inquinamento, permessi per le emissioni in atmosfera, rifiuti speciali, infortuni. Due palle al piede, che non si possono assegnare a terzisti, per motivi economici.
La direzione, zitta zitta, assume un tecnico esterno, esperto del settore, tecnico che viene mandato in avanscoperta per scoprire dove delocalizzare quel settore e i sessanta dipendenti attualmente impiegati.
Dopo una serie di viaggi la scelta cade sull’Albania.
Giorgio, come chiameremo il nostro tecnico, parte da solo verso Durazzo, e si avventura alla ricerca di capannoni e di manovalanza locale.
Qui conosce “Antonio”, altro consulente italiano, un pensionato che lo guida verso la burocrazia locale e che assicura di conoscere la lingua, altro “indispensabile” requisito per comunicare con i nativi albanesi.
Giorgio fa subito conoscenza con doganieri, burocrati e rappresentati del governo locale, tutti parlanti italiano. Fa accordi con un paio di proprietari di capannoni, sempre in italiano, con una affittacamere, che parla la lingua del belpaese, e con le locali aziende dei servizi.
Sempre parlando Italiano, ma con l’assistenza di “Antonio” che parla, parla con gli albanesi in albanese…
La sera una cena economica, ovvero al migliore ristorante della città, con quattro bottiglie di vino, bevute praticamente tutte da “Antonio”, che finisce russando sotto il tavolo, dopo aver cantato per ore. Giorgio, il nostro eroe, la mattina dopo fa il suo primo atto ufficiale, caccia via l’indispensabile consulente e si avventura da solo alla ricerca di un commercialista, che assume il patrocinio della costituenda azienda alla modica cifra di 30 euro al mese.
Finora tutto bene, l’italiano è parlato praticamente da tutti gli imprenditori ed i funzionari locali, problema risolto. Il problema alloggio è risolto con cento euro al mese di affitto regolarmente fatturato, un bilocale in riva al mare. Per il cibo si spendono dai 5 ai 15 euro a persona, se non si va nel migliore ristorante della città, aprire il conto è facile e indolore, così come acquistare un’auto. Benzina e gasolio a circa 1,1 -1,2 euro, ma bollo ed assicurazione bassissimi.
Si comincia fare sul serio e si chiede a chi affitterà il capannone, addetto a falegnameria e verniciatura quali sono gli adempimenti necessari per la sicurezza del lavoro e dell’ambiente. Gli viene mostrata la locale fabbrica di vernice, lì vicino e soprattutto il terreno circostante e la scarpata antistante, tutti coperti di strisce di colori diversi, ottenute dallo sversamento decennale di residui chimici direttamente nel piazzale.
Si comincia a calcolare il costo della manodopera, al cambio attuale siamo a meno di trecento euro al mese, tutto compreso. I conti sono presto fatti, le cabine di verniciatura e le ingombranti seghe automatiche resteranno in italia a far polvere, si segherà e lavorerà il legno a mano e per aerare quando si vernicia si apriranno i portoni. Alla fine il costo della produzione complessivo sarà di circa un terzo dell’attuale, considerando anche le spese di manutenzioni degli impianti, adesso inesistenti e la riduzione dei consumi elettrici. Infatti nel settore degli orologi a cucù il costo del materiale è abbastanza irrilevante, mentre la manodopera è circa il sessanta per cento del costo e le spese di gestione degli impianti un altro 30%.
Si parte, finalmente e si scopre che le persone provenienti dall’interno non parlano un granché di italiano, e occorre un certo numero di dipendenti della costa, che chiedono uno stipendio maggiore, per fare da interpreti con Giorgio.
Ora cominciano i problemi.
Malgrado tutto non siamo in Europa, esistono dei trattati internazionali tra Italia ed Albania, ma quest’ultima è fuori dal Mercato Comune Europeo, per il momento. Leggi e usanze sono diverse, ma non ci sono difficoltà insormontabili.
Il guaio è che per importare prodotti e macchinari ci sono due dogane. Quella italiana, che ti richiede al massimo bolle dettagliate, codici doganali e magari Ateco, e quella albanese che ha una sua normativa strutturata e che ancora non è stata ben rodata.
Cosa vuol dire? Che i doganieri albanesi davanti ad un caso particolare non sanno che cazzo fare.
Prima di tutto quello che viene importato in Albania è soggetto al pagamento dell’Iva, anche se si trattasse di macchinari usati o che rimangono di proprietà della sede italiana. Esistono, grazie agli accordi bilaterali 140 fattispecie di macchinari importati che prevedono una esenzione dell’IVA, se importati come merce di proprietà della casa madre italiana. Purtroppo pare che non sia il caso del legname e delle vernici utilizzate per gli orologi a cucù. E neanche dei pochi macchinari ora necessari per produrli. Dato che si tratta di orologi non professionali il problema si pone, mentre se fossero stati dei marcatempo, per esempio, non si pagavano né dazi né Iva.
I trasporti vanno via che è un piacere, un camion da e per il nord italia, traghetto via Ancona, arriva e parte da Durazzo per soli settecento euro. Niente, il problema dei trasporti è risolto.
Non del tutto, le vernici devono partire con un carico ADR, ma le aziende albanesi si rifiutano di farlo, anche se il loro paese è convenzionato. Occorre utilizzare un trasportatore italiano e la spesa complessiva sale di quasi tre volte, a circa duemila euro. Dall’Italia nessun problema, si fanno tutti i documenti e la merce arriva a Durazzo senza problemi.
Rimane solo il piccolo scoglio di convincere, in un modo o nell’altro i doganieri albanesi, che di solito non sanno che fare. Un regalo aiuterebbe, ma solo dopo aver dato ai doganieri una idea abbastanza precisa di come comportarsi.
Alla fine la merce passa, e l’Iva non si paga subito, ma differita di due anni, il tempo di avviare l’attività e magari accumulare credito.
A questo punto si viene a conoscenza del sistema fiscale albanese, che prevede chiusura trimestrale dei bilanci, con calcolo di magazzino, consumi, entrate ed uscite della merce e calcolo degli sfridi di produzione. Dopo aver calcolato entrate ed uscite nette dell’azienda si scopre che le tasse si pagano sul conto economico dell’azienda, ignorando praticamente del tutto immobilizzi e altre diavolerie moderne.
Si possono perfino detrarre alcuni tipi di spese di solito indeducibili in Italia..
Alla fine la tassazione, calcolata sui soldi effettivi che sono entrati in tasca all’imprenditore, escluse tutte le spese, si paga dal 10 al 20% complessivi. Molto, ma molto meno rispetto all’Italia.
I problema è che è meglio non sgarrare, le pene per chi fa il furbo con la chiusura del bilancio sono durissime, e i doganieri locali ti guardano brutto brutto se ci provi. A proposito, In Albania non credono molto negli sconti alla pena e nei gradi di giudizio, se ti reputano colpevole vai subito dentro, e se ti danno dieci anni ti fai dieci anni di galera.
Detto questo il nostro imprenditore scoprirà sui dazi e sui codici Iva molte più cose di quante ne sapeva prima, dato che i doganieri albanesi cercheranno sempre di farteli pagare, mentre l’imprenditore italiano farà di tutto per non farlo.
Risultati
Concludendo, se a qualcuno venisse in mente di trasferire l’attività in quel apese, beh, i presupposti per spostare qualsiasi tipo di attività a non alta tecnologia ci sono, stipendi bassi, trasporti economici, niente IMU e tasse fisse, libertà di licenziare, bollette bassissime e altro. Il contro è una dogana abbastanza ingessata, pronta a bloccare il nuovo giocattolo a minimo intoppo. L’ambiente è decisamente amichevole e favorevole, un intero popolo tutto dedito a farsi gli affari suoi. Se si mantiene un profilo basso e si è disposti a combattere con la dogana può essere un ottima alternativa a paesi come Romania – adesso non più così conveniente come in passato – e Tunisia, con trasporti molto più difficili da gestire e i ribelli salafiti nelle montagne.
La vita è diversa, ovvio, e i ritmi degli albanesi sono molto rarefatti rispetto ai nostri. Tanto per dirne una l’altra settimana Giorgio mi telefona per dirmi che ormai si ammazzava rientrando a casa. Sulla strada, nuovissima e costruita con i fondi europei c’era la carcassa di un … cavallo, investito da qualche autotreno poco tempo prima.