Da Sonila Alushi
Ricordo i primi anni in Italia: molta gente qui, italiani intendo, sapeva così poco dell’Albania! E quel poco non era per nulla positivo. Spesso sapevano di noi e del nostro paese solo quello che raccontava la cronaca nera. Per questo motivo, per questo ignorare quasi completamente, non poche volte mi è successo di ricevere domande del tipo: “Ma in Albania avete la luce elettrica?”; “Ci sono le macchine nel tuo paese, o andate in giro con i cammelli?!”; “Ma se uno viene beccato a rubare, da voi lo impiccano in piazza vero?!” “Ma se sei albanese, tu perché sei bianca?!”; ecc, ecc del genere.
Qualcuno non sapeva nemmeno che fossimo, siamo, così vicini geograficamente! Insomma questo non sapere nulla; questo parlare dei media per lo più di delinquenza albanese, non faceva che crescere la paura nei nostri confronti. E la paura, si sa, alimenta solo l’ignoranza e il pregiudizio.
Mi ricordo anche che quelle pochissime volte in cui veniva trasmessa in tv l’intervista di un albanese di successo come la scrittrice e giornalista Elvira Dones, l’avvocato (oggi candidato Sindaco di Parma) Gentian Alimadhi, l’artista Kledi Kadiu, noi altri riuscivamo a comunicare la notizia in un nano secondo a tutti i parenti e amici!
“Mami vai subito a vedere su canale X, si parla dell’Albania”; “Cugina vai ora, immediatamente su canale X, parlano dell’Albania. Ah, non sei a casa, peccato! Avvisa i tuoi amici però!” Mi commuovo quando ci penso a quel giro di telefonate che facevamo in un lampo e pieni di gioia, di orgoglio e di voglia di riscatto.
“Hai visto Ale, c’era una signora Albanese in tv ieri su canale x? Ma come non hai visto?! Io ti ho scritto un sms, non hai letto?!” Che delusione quando gli amici italiani non guardavano quei pochi e brevi servizi.
Volevamo pareggiare un po’ i conti e non ci riuscivamo. Il giorno dopo ci sarebbero state altre 2-3 brutte notizie (“andavamo noi di moda allora, sostituendo i meridionali”) che riguardavano un albanese e sapevamo che quelle notizie non avrebbero riguardato un albanese solo, il diretto interessato.
Quelle brutte notizie avrebbero riguardato quasi tutti noi. Quelle notizie sarebbero diventate un altro bastone tra i piedi per trovare un lavoro, una casa, un amico. Lo sapevamo che la quotidianità, il lavoro, i rapporti con gli autoctoni sarebbero diventati ancora più difficili: loro sul chi va là, e tu sulla difensiva; loro che ti avrebbero fatto una domanda, e tu che avresti risposto con mille risposte a raffica; loro che ti avrebbero sorriso una volta, e tu che avresti sorriso cento volte (chiedendoti tra te e te se era stato un sorriso vero o uno di cortesia); loro che ti avrebbero invitato per un caffè, e tu che li avresti invitati a cena. E tante cose così, per dimostrare che non eri uno di quelli della cronaca nera. Che tu eri una brava persona, buona, normale.
Per questo motivo alcuni albanesi si sono mimetizzati, negando e rifiutando le proprie origini. Mi ricordo di un ragazzo albanese all’Università che diceva di essere greco! Lo diceva così spesso e con così tanta convinzione che mi dava l’idea di crederci pure lui oramai! Allora lo criticavamo duramente noi altri, sbagliando.
Oggi lo avrei abbracciato stringendolo forte, senza fiatare. Allora (15 anni fa) ero troppo giovane, troppo agguerrita, troppo indignata e orgogliosa per capirlo.
I media martellavano alla grande e la diffidenza è nata e cresciuta pure tra di noi. Perché i media, specialmente quelli televisivi, hanno un potere smisurato sulla società. Loro possono influenzare i processi di pensiero e il cambiamento comportamentale, emotivo e cognitivo delle persone. Diciamocelo più spesso questa verità.
Ora le cose stanno cambiando nei nostri confronti proprio a causa di questo cambio di rotta dei media. Ora se ne parla di più e meglio dell’Albania e degli albanesi. Si conosce la storia, la politica, l’andamento della società albanese, i suoi successi e le sue problematiche.
Si parla di più dei casi positivi e della nostra facile integrazione. Se ne parla oggi, ma noi non siamo integrati da un ieri recente. La vicinanza geografica e culturale; la conoscenza della lingua e dell’Italia (in generale) già da prima di lasciare l’Albania; l’ammirazione e l’amore per il bel Paese ha fatto in modo che in pochi anni ci sentissimo e fossimo integrati.
Cosa che si faceva fatica a vedere e percepire allora, proprio per la poca e mala conoscenza. Ecco perché la nostra storia può e deve insegnare (pensando oggi alle altre comunità prese di mira).
Ecco perché insisto nel parlare in positivo e di positivo. Buttare fango su una comunità o una parte della società, specialmente se quella più debole, non aiuta loro, noi aiuta voi, non aiuta NOI. Nelle guerre tra poveri non vince mai nessuno e perdiamo sempre tutti, ma proprio tutti.