Home Approccio Italo Albanese Turchia, più lontana dall’Europa e più ambigua con la Nato

Turchia, più lontana dall’Europa e più ambigua con la Nato

Articolo pubblicato originariamente con lo stesso titolo su Il Sole 24 Ore a firma di Alberto Negri

All’alba del colpo di stato fallito del 15 luglio, dopo la notte dei carri armati sui ponti del Bosforo, una strana atmosfera percorreva Istanbul: i tank dei golpisti venivano rimossi dalle gru dei vigili municipali, come se ci fosse stato soltanto un banale ingorgo stradale, ma tutti gli ingressi delle caserme, compreso quello della base della Nato, erano sigillati da autotreni dietro i quali erano appostati i poliziotti con i fucili puntati. Poche ore dopo venivano diffuse le foto di militari a torso nudo e con le braccia legate. Mai le forze armate turche, che dal 1960 avevano portato a termine tre colpi di stato, erano state così umiliate.

Eppure proprio su queste forze armate, decimate da un anno di purghe per i legami veri o presunti con l’imam Fethullah Gulen, dovrà contare Erdogan per avviare un’operazione militare nel Nord della Siria con l’obiettivo di spezzare la continuità territoriale delle zone controllate dai curdi siriani: «Non tollereremo un Kurdistan alle porte di casa», ha dichiarato il presidente che ha appena fatto votare una legge in Parlamento che proibisce ai deputati di pronunciare la parola Kurdistan e genocidio armeno. La questione è che se questa operazione ci sarà, come sembra dalla lettura dei giornali turchi, verrà condotta da un esercito Nato senza l’approvazione degli Stati Uniti ma con l’appoggio della Russia. Un anno dopo il colpo di stato la Turchia appare sempre più fuori dall’Alleanza Atlantica e in sintonia sempre maggiore con Mosca che ha deciso tra l’altro di finanziare il gasdotto Turkish Stream. Se la Turchia si impossessa delle piazzaforti dei curdi siriani per gli Usa sarà un problema: le truppe curde ora stringono d’assedio il Califfato a Raqqa e saranno costrette a mollare la presa per accorrere a difendere le postazioni nella Siria del Nord.

La geopolitica della Turchia a un anno dal golpe è cambiata. Russi, siriani e milizie sciite filo-iraniane hanno ripreso Aleppo mantenendo Assad in sella, Ankara è così venuta a patti con Mosca e Teheran mentre la crisi del Qatar ha aperto un solco con l’Arabia saudita. Solo poche settimane fa il parlamento turco aveva votato l’invio di migliaia di soldati in Qatar e ora la Turchia e l’Iran sono sullo stesso fronte a sostegno della dinastia degli Al Thani. Sono accadute in dodici mesi cose forse impensabili nel 2016 quando ancora Erdogan gridava ai quattro venti che Assad se ne doveva andare.

Non solo la Turchia non è in linea con la Nato ma ormai appare fuori dall’Europa. L’Unione ci fa perdere tempo, ha detto Erdogan che impugna contro Bruxelles la robusta arma di ricatto dei profughi siriani e della chiusura della rotta balcanica. Ma anche se litiga con la Germania e con l’Austria Erdogan è consapevole che l’Europa è il suo puntello economico: il 60% degli scambi commerciali e il 70% dei debiti delle imprese turche sono contratti con istituzioni europee.

L’economia è il tallone d’Achille di Erdogan: il suo successo e quello dell’Akp in 15 anni è stato costruito proprio sulle eccezionali performance di qualche anno fa quando il Pil aumentava a ritmi cinesi. Sul piano economico quanto è accaduto un anno fa non è stato indolore, anche se non si sono materializzati quegli sfaceli attesi da una temuta accelerazione della fuga dei capitali stranieri. La lira turca ha perso rispetto al giorno del fallito golpe il 16% contro il dollaro e la debolezza finanziaria appare evidente dal passivo cronico delle partire correnti.

Valanghe di arresti, epurazioni di massa e la contestata vittoria al referendum costituzionale hanno comunque rafforzato la presa di Erdogan sul Paese, annientando le residue speranze degli oppositori di rovesciarne le sorti, nonostante il recente successo di massa della grande marcia lanciata dal Chp, il partito repubblicano, laico e secolarista, che ha portato dopo 450 chilometri un milione di persone a manifestare nelle strade di Istanbul. Il referendum ha consegnato nuovi superpoteri al presidente che appare il titolare di una sorta di Califfato. Ma di grandezza ottomana nella Turchia triste di Erdogan se ne trova assai poca.

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