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Albania e caso Diciotti: un errore continuare a parlare vivendo in un passato non paragonabile al presente!

Sono lieto che la Comunità italo-albanese e albanese, attraverso le pagine degli Approcci e i Social media, sui quali stanno impazzando commenti di ogni tipo, abbia messo al centro del proprio dibattito attuale la vicenda della nave Diciotti e in particolare la scelta del Governo albanese di accogliere 20 dei 140 migranti soprattutto Eritrei che erano a bordo della nave italiana al porto di Catania in Sicilia. Scelta concordata con i Ministri di Roma Salvini (Interno) e Moavero Milanesi (Esteri).

Di Alessandro Zorgniotti

Ho avuto modo di leggere con attenzione le dichiarazioni del Premier albanese Rama, pubblicate su questo Giornale e sulle Agenzie di stampa italiane: le sue parole confermano quanto noi analisti avevamo affermato in partenza fin dal primo momento, ossia che la decisione del Governo di Tirana è da intendersi come un atto eccezionale e simbolico. Atto finalizzato a instaurare un ponte di dialogo con il nuovo Governo italiano di Giuseppe Conte in carica da giugno (e con il quale l’Albania non aveva ancora trovato prima del caso Diciotti l’occasione giusta per avviare un contatto ufficiale e concreto) e, allo stesso tempo, a indirizzare un segnale alla Comunità Europea. Eccezionale e simbolico. Punto. Anche perché – ha dichiarato lo stesso Rama, che ben conosce la situazione sociale interna a un Paese dove lo Stato sociale è ridotto al minimo per gli stessi Albanesi e dove non è possibile alcun parallelo con l’accoglienza dei Kosovari a fine anni 90 – accoglierne altri “non sarebbe la soluzione”.

Che il Capo del Governo di Tirana voglia allacciare un rapporto costruttivo con i nuovi “inquilini” di Palazzo Chigi (sede del Governo di Roma) lo si evince anche dalle parole che egli stesso dedica oggi al Vicepremier leghista e Ministro Matteo Salvini, con il quale anni fa i rapporti erano tutt’altro che idilliaci se si passano in rassegna le reciproche dichiarazioni dal 2014 in avanti: se da un lato l’atteggiamento di Salvini può essere controproducente, dall’altro esso riflette gli umori della gente e di un Paese, l’Italia, lasciato solo dall’Europa.

Analizzare il caso come la premessa di una minaccia di invasione africana dell’Albania per il futuro, o sulla semplice base di quanto è stato detto o fatto in passato, ha il solo effetto di produrre “fiumi di parole” senza essere a Sanremo e peraltro poco intonate.

Chi scrive ricorda esattamente i fatti e gli avvenimenti degli anni Novanta, dall’arrivo della Vlora al porto di Bari, con una moltitudine di cittadini albanesi relegati in uno stadio da calcio – quelli sì profughi veri, in fuga da un regìme di stampo nordcoreano a pochi chilometri dall’Italia e contro il quale nessuno dei radical chic italiani di ieri e di oggi aveva mai speso una parola – fino alla tragedia del 1997 con il naufragio dell’imbarcazione Kater i Rades e la morte di 81 cittadini Albanesi nel canale di Otranto.

Vale la pena leggere alcuni giornali dell’epoca, di cui pubblico per ragioni di obiettività anche i link.

“Repubblica”, quotidiano che notoriamente non simpatizza per l’attuale Governo Conte e attuale megafono del centrosinistra italiano – al quale consiglierei di leggere le dichiarazioni del Premier di Tirana in merito all’Italia e all’Europa – nel 1997, pochi giorni prima della tragedia di Otranto, titolava esattamente così: “Blocco navale per fermare gli Albanesi. Non sono più profughi, ma immigrati non in regola. E come tali vanno respinti”. La data è quella del 25 marzo 1997. Nello stesso articolo si fa quindi riferimento all’accordo raggiunto fra il Premier italiano Romano Prodi (ministro dell’Interno Napolitano, ministro degli Esteri Dini, ministro dei Trasporti e della Marina Burlando) e il collega di Albania Bahkim Fino per un “piano anti-esodo”. Aggiungeva il vice di Napolitano agli Interni, Sinisi, esponente anch’egli del centrosinistra italiano: “Sulle nostre coste non stanno arrivando più profughi, ma uomini e donne provenienti da zone non in rivolta. Sono, insomma, immigrati”. “Ufficialmente – prosegue Repubblica – le nuove disposizioni date alla Marina (dal Governo Prodi, ndr) parlano di opera di convincimento. Di fatto, è un blocco navale”.

25 marzo 1997, abbiamo detto. Tre giorni dopo, 28 marzo 1997, la movedetta denominata A451 Kater i Rades, di fabbricazione sovietica, trafugata al porto di Saranda da un gruppo di trafficanti di esseri umani, si scontrò in acque italiane, nel canale di Otranto, con la corvetta italiana “Sibilla”, che stava pattugliando il mare in applicazione delle direttive prima ricordate, e fu vittima del tragico naufragio nel quale persero la vita decine di Albanesi: degli 81 morti accertati, 24 corpi non furono più ritrovati.

La magistratura italiana, procedendo per accertare le responsabilità, agì unicamente nei confronti dei comandanti delle due navi, italiana e albanese: Fabrizio Laudadio della “Sibilla”, condannato in via definitiva a due anni; e Namik Xhaferi a cui furono inflitti 3 anni e 6 mesi dalla Corte di Cassazione italiana.

Nessun esponente del Governo italiano dell’epoca venne mai indagato per quanto avvenuto.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/03/25/blocco-navale-per-fermare-gli-albanesi.html

Subito dopo il dramma di Otranto fu Berlusconi, all’epoca leader del centrodestra che si stava rialleando alla Lega di Bossi, a consegnare ai mass media di tutto il mondo la solidarietà dell’Italia con una dichiarazione commossa che è tornata di attuali su tutti i Social network. Alcuni parlarono e parlano di lacrime interessate, ma sta di fatto che fu la sola dichiarazione di solidarietà al Popolo Albanese.

Naturalmente all’epoca il cordoglio ufficiale fu ai vari livelli, ma di intensità assai diversa. Vale la pena di citare il giornale web “Peopleforplanet” che pubblica l’articolo http://www.peopleforplanet.it/chi-si-ricorda-di-berlusconi-che-piangeva-per-gli-albanesi/ nel quale, dopo quella di Berlusconi, viene riportata un’altra dichiarazione: “La sorveglianza dell’immigrazione clandestina attuata anche in mare rientra nella doverosa tutela della nostra sicurezza e nel rispetto della legalità che il governo ha il dovere di perseguire”. E volete sapere chi la pronunciò? Non un Salvini ante litteram, ma l’allora Premier italiano Romano Prodi, co-fondatore del centrosinistra e del Partito democratico in Italia.

Per questo – pur ricordando io stesso con dolore alcuni degli slogan infelici di matrice leghista dell’epoca, slogan estesi anche agli amici Italiani del Sud – il messaggio che voglio lanciare con questa riflessione è il seguente: se si continua ad analizzare il presente sulla base del passato, il brutto verrà fuori da dove meno lo si immagina. Ognuno di noi 26 o 21 anni fa parlava, molte volte a sproposito, sulla base dell’emotività del momento, e non comprendeva che era una parte di Europa a chiedere aiuto all’altra parte di Europa, quindi il blocco navale di quel tragico periodo era attuato contro altri Popoli Europei.

Attualmente siamo alle prese con una sfida che non è paragonabile in nulla e per nulla a quella di due decenni fa: quella della solidarietà fra due Continenti, Europa e Africa, che presenta moltissime difficoltà obiettive in più, sociali e culturali, e che potrà essere vinta, anzitutto non portando a forza pezzi di Africa in Europa e non dando agli Europei la sensazione che l’attuale accoglienza coincida con un calo dei livelli di benessere e di sicurezza e con l’aumento della povertà locale. Altrimenti, se Bruxelles e le sinistre occidentali europee continueranno a non capire questo, il voto al Parlamento Europeo del prossimo anno rischia di innalzare nel Mediterraneo un muro tale da fare impallidire quelli di Obama e di Trump nei confronti del Messico.

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