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“L’Italiano? Per noi resta una lingua importante, ma si deve fare di più per promuoverlo in Albania”

Le riflessioni di Ylljet Alicka, scrittore e diplomatico con l’Italia nel cuore.

Di Alessandro Zorgniotti

Vero è che l’Italiano, per diffusione linguistica, ha perso terreno al confronto con altre lingue e – ahinoi – con altre culture nel frattempo affermatesi in Albania dalla caduta del comunismo fino ai giorni nostri.

Tuttavia non bisogna essere troppo pessimisti immaginando un Paese non più filo-italiano: “L’Italia è e rimarrà nel cuore dell’Albania e di noi Albanesi oggi e anche nel futuro, ma serve che tutti quanti hanno delle competenze facciano di più per sostenere la promozione dell’Italiano, che deve tornare a essere studiato non soltanto per pur importanti motivi di lavoro, ma anche per ragioni di arricchimento ideale e culturale”.

A sottolinearlo è lo scrittore, intellettuale e diplomatico – “non di carriera”, tiene a sottolineare – Ylljet Alicka, nel corso di una intervista realizzata dal corrispondente di Radio Radicale a Tirana Artur Nura per la rubrica “Albania Italianofona”.

Alicka nei giorni scorsi è stato fra i relatori e le autorità che nella Capitale albanese, prima nel parco del Lago artificiale poi nella sala conferenze del palazzo del Governo albanese, hanno preso parte alla cerimonia di intitolazione di una Via nel nome di Alessandro Leogrande, compianto collega giornalista italiano, originario della Puglia, scomparso improvvisamente nel 2017 all’età di soli 40 anni. Un evento che concorre a rafforzare, sotto il profilo umanistico, le relazioni fra i nostri due Paesi.

“Negli anni bui della dittatura – ricorda Alicka – ho avuto la fortuna, a quell’epoca assai rara, di potermi costantemente aggiornare e documentare su libri e riviste italiane. Uno studio personale, che andava al di là di logiche didattiche, perché l’Italia stava di fronte a noi, rappresentava il sogno del nostro ingresso in Europa”.

Proprio al “Sogno italiano” Alicka ha dedicato il bellissimo romanzo che narra la storia dei fratelli Tota, ispirata alla vicenda della famiglia Popa rifugiatasi nell’Ambasciata d’Italia fra il 1985 e il 1990 dando inizio alla fine del comunismo. Un “sogno” poi scontratosi con la realtà. Ma un sogno che resta vivo nelle menti e nei cuori del Popolo delle Aquile.

“Vero è che io appartengo all’ultima generazione che ha avuto modo di studiare l’Italiano come prima lingua di riferimento verso l’esterno, tuttavia ritengo che altre culture nel frattempo affermatesi, come quella legata alla Turchia, non possano radicarsi nella stessa maniera, rimanendo il nostro Paese saldamente ancorato ai valori europei”.

Questo non toglie una certa riflessione sul forte attivismo delle istituzioni turche e di altri Paesi in Albania, a fronte di una presenza italiana che forse nel tempo è andata burocratizzandosi un po’ pensando in primo luogo al proprio auto-mantenimento piuttosto alla mission di investire nella diffusione linguistica italiana anche al di fuori dei canali scolastici o a pagamento.

“Investire e fare di più si può da parte di chi ne ha le competenze, ma io resto ottimista su un ruolo importante dell’Italiano anche in una società oramai aperta e competitiva come quella Albanese”, conclude Alicka.

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