Cerimonia commemorativa a Tirana, purtroppo con alcuni passaggi eccessivamente politicizzati e paralleli non corretti fra il 1997 e i giorni attuali.
Di Alessandro Zorgniotti
Lo confesso: da giornalista italiano, residente in Albania oramai dal 2015 – ma che all’Albania si sente legato fin dall’agosto della “dolce nave” Vlora del 1991 – sapere che una Via del grande parco del Lago di Tirana è dedicata a un Collega e Reporter sociale è motivo di orgoglio e contentezza oltre il senso stretto di appartenenza alla stessa categoria professionale. Perché, pur non avendolo mai potuto conoscere personalmente, avevo letto dell’impegno infaticabile di Alessandro Leogrande nella ricostruzione investigativa e sociale della tragedia della Kater e Rades, la motovedetta affondata per una collisione nel canale di Otranto con la “Sibilla”, una nave dello Stato italiano che quel 28 marzo 1997 era nel canale di Otranto per dare attuazione al blocco marittimo contro l’Albania deciso pochi giorni prima dal Governo di Roma dell’epoca. Un dramma di dimensioni epocali nel quale persero la vita 81 Albanesi di cui molti dispersi in mare, e che sul piano giudiziario si concluse in una beffa per vittime e superstiti, con leggere condanne limitate ai soli Capitani delle due imbarcazioni.
In questo senso, il lavoro preciso e documentario di Leogrande è stato un contributo indelebile alla costruzione di un ponte importante di fratellanza fra Italia e Albania, e fa onore alla Capitale Tirana, con il Sindaco Erion Veliaj, avere deliberato, prima in assoluto, una così solenne e commossa intitolazione.
Perché – come ribadito dall’Ambasciatore italiano a Tirana Alberto Cutillo – se la tragedia navale del canale di Otranto ha rappresentato uno dei momenti più bui delle relazioni fra i nostri due Paesi, il cammino successivo si è compiuto e si sta compiendo in un crescendo di affetto e di amicizia.
Peccato, come spesso avviene in Italia, che ciò avvenga sempre dopo un fatto brutto che si sarebbe potuto e dovuto evitare. Anche Perché – scriveva Leogrande nel suo “Naufragio”, trasposto nello spettacolo teatrale in scena fra Albania e Kosovo in questi giorni – “chi era a bordo della Kater e rades era anzitutto gente indifesa, donne e bambini in particolare. Chi pensava di trovare armi e droga in mezzo a quelle 120 persone in fuga dall’Albania in guerra, trovò solo sofferenza”.
Proprio per questo motivo – e qui lo confesso un’altra volta – sono rimasto un po’ a disagio nel constatare come un momento tanto solenne – come anche la successiva conferenza ospitata nel Palazzo del Governo albanese – sia stato utilizzato da qualcuno dei relatori presenti per creare dei paralleli impropri fra il lutto collettivo della Kater e Rades e la situazione immigratoria attuale dall’Africa. Due fenomeni non paragonabili e non sovrapponibili né storicamente né culturalmente.
Mi sia permesso – senza che questo suoni come un attacco preconcetto – di dire che ho provato un certo disagio quando Nicola Lagioia, direttore del Salone del libro di Torino di cui non discuto le alte doti professionali e umanistiche, ha detto che oggi gli Albanesi della Vlora del 1991 in Italia avrebbero trovato un’accoglienza diversa da quella che i Pugliesi dedicarono 27 anni fa: a mio avviso, tale affermazione è offensiva verso il Popolo italiano e pugliese e verso quello Albanese. Idem disagio ho provato quando egli ha riepilogato i fatti successivi alla Vlora e avvenuti prima di quel maledetto 1997: il crollo della prima Repubblica e la fine della Dc, l’entrata in scena di Berlusconi, la vittoria a Taranto (città natale di Leogrande) della destra di Cito.
A quel punto i nomi si fermano: non viene mai evocato il nome di Prodi, che da capo di un Governo insediato nel 1996 e sostenuto da ex Pci e Rifondazione comunista ordinò quello scellerato blocco navale nel 1997 che, appena tre giorni più tardi, avrebbe causato il mortale incidente nel canale di Otranto. E mi chiedo come mai Berlusconi stesso non sia stato citato dallo stesso Lagioia come il solo leader politico italiano che andò a rendere omaggio ai superstiti albanesi in Puglia subito dopo il naufragio, mentre il premier Prodi andava a dire in Tv che la difesa dei confini via mare era un dovere dello Stato italiano.
Ecco, usare una commemorazione così bella per lanciare attacchi subliminali all’attuale quadro politico e governativo italiano è un fattore di impoverimento per tutti noi.
Per il resto, ho molto apprezzato gli interventi dello scrittore e diplomatico di Tirana Yllj Alicka e dell’editrice Arlinda Gunaj, e le performances dei due attori – lei italiana e lui albanese – che con coinvolgente teatralità hanno letto alcuni passi dell’opera di Leogrande.
Anche il ricordo quasi paterno del giornalista Goffredo Fofi, maestro e mentore di Leogrande, ha toccato le sensibilità dei presenti, specialmente quando ha ricordato che – prima della morte improvvisa nel 2017 – “Alessandro non era ancora un grande scrittore ma lo stava diventando, perché univa il pensiero all’azione, e perché era animato dall’ottimismo della volontà”. La volontà di indagare, di andare fino in fondo, di analizzare. Così come bello e conciso è stato il grazie all’Albania da parte della Regione Puglia presente con l’assessore Loredana Caputo.
La delegazione pugliese ha voluto sottolineare i destini paralleli della Regione italiana e del Paese delle Aquile: la Puglia come porta dell’Italia e dell’Unione europea da Sud, l’Albania come porta dei Balcani, eppure due realtà che sono rimaste in una zona d’ombra fino al 1991, fino all’arrivo di 20.000 Albanesi su una nave partita da Durazzo e giunta perigliosamente a Bari. La prova umanitaria dei Pugliesi fu lodata anche a livello internazionale, perché nell’Adriatico era caduto per la seconda volta dopo il 1989 il muro di Berlino.
Si completava il reciproco avvicinamento del Popolo europeo, e questo rende ancora più doloroso e intollerabile quanto accadde 6 anni dopo a Otranto.