Alla scoperta dell’Albania contadina, tra basse case di campagna, campi coltivati a cereali e frutteti.
Di Stella Beghini, Cospe onlus per greenreport.it
Andare in Albania la prima volta è come trovarsi in un mondo un po’ familiare e contadino. Nella fila per il controllo immigrazione le carte d’identità italiane e i passaporti albanesi si mescolano in maniera quasi equilibrata. Agli arrivi, ragazzi e famiglie appena sbarcate si fanno abbracciare dai vecchi parenti con le mani scure di sole e di terra. E fuori dall’aeroporto, eccoci a rincorrere di sera la strada che da Tirana va a Scutari su una Panda viola melanzana.
“Guardate le luci del castello di Rozafa!”, ci dice Rozeta, nostra referente nel Paese. Il nostro ingresso a Scutari avviene così, ma nel buio della periferia io vedo solo la scritta “Shqiperia” (Albania) e qualche cartello che indica la frontiera con il Montenegro. Entriamo in città e le prime immagini cominciano a diventare le prime tessere del viaggio. Scutari di sera è accogliente e sulle pietre bianche della strada si rispecchia la luce calda dei lampioni. Ci sono caffetterie frequentate solo da ragazzi con davanti una tazzina di caffè anche a mezzanotte, e giovani che vanno su e giù per le vie affollate. Di sottofondo si sentono i muezzin delle moschee vicine, dai bar partite di calcio e musica, e poi campane e tante voci. Un insieme che avevo imparato a conoscere in altri viaggi che ho fatto nei Balcani. Tendo l’orecchio per familiarizzare con la lingua albanese e individuare le dieresi che dalle parole scritte si trasformano in suoni.
Il giorno dopo ci muoviamo per la Zadrima, la regione intorno a Scutari, sempre accanto a campi coltivati a cereali e frutteti; le montagne che ci fanno da cornice non sono altro che le prime guardiane delle Alpi albanesi che si trovano a nord, verso il Kosovo e il Montenegro. Affrontiamo il traffico di Tirana solo un pomeriggio, per fortuna; volteggiando intorno a enormi rotonde mi accorgo di quanto gli albanesi amino le Mercedes-Benz e di quanto costruire e ricostruire faccia parte della vita della capitale. Le case di campagna invece sono basse e bianche e spesso fanno compagnia a nuovi appartamenti, o solo piani e terrazze, con colori sgargianti che si mescolano al cemento non intonacato. Pergole di uva, orti, rimesse per le auto abitate anche da capre, pecore e mucche sono i più utili sostituti dei nostri giardini curati all’inglese.
D’altronde Rozeta mi dice che gli albanesi consumano 3 litri di latte al giorno tra formaggi, yogurt e latte, e farseli in casa è ancora molto comune! Age, un’anziana e vispissima contadina, ci accoglie con ricotta, succo di fragole e l’immancabile raki, la grappa locale, tutti fatti in casa. La montagna Shita è la sua compagna, e parte di questa è stata mappata nel quadro del progetto “Alleanza per l’agricoltura familiare nel Nord Albania”, finanziato dalla “Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo”, che permette a diversi contadini e operatori turistici locali di migliorare le proprie competenze, i prodotti e i servizi. Age ci sorride e salta di qua e di là per fare gli onori di casa, e con orgoglio ci mostra il suo orto curato e la casa nuova per i figli; trapela anche la consapevolezza che proprio loro, trasferiti in Grecia anni fa, molto probabilmente non verranno mai ad abitare accanto a lei su una montagna. Una settimana è poca per visitare la zona, ma quanto basta per farti venire la voglia di ritornarci, almeno per rincontrare Age, la luce sul lago di Scutari e il sapore delle prugne balcaniche.
di Stella Beghini, Cospe onlus per greenreport.