Home Approccio Italo Albanese Storia di Albion e di un viaggi che non ha fine

Storia di Albion e di un viaggi che non ha fine

Di Marsela Koci

Oggi mi sento esattamente come l’8 luglio del 1998, quando mio fratello Albion era partito dall’Albania per andare in Italia. La stessa situazione, le stesse emozioni, la stessa tristezza infinita negli occhi di lei, nostra madre che come allora resta in piedi davanti alla finestra. Non ha forza di dire nessuna parola.

Albion aveva 16 anni ed è partito da solo, da Valona in gommone senza avere paura. E’ partito per cambiare vita, per ricominciare. Per vivere quella vita appena cominciata.Tutti sognavano di lasciare l’Albania, un paese al collasso dopo un anno di guerra civile, interna e sanguinosa, che aveva seminato morte ovunque. Molti amici e parenti non c’erano più. Secondo i dati erano decedute 3.800 persone tra cui 360 poliziotti. I feriti erano 5.000. Le città più problematiche, Valona, Berat e levan di Fier mostravano una situazione allo sbando: la polizia non esisteva più e le caserme erano assaltate dalla gente che cercava di prendere un’arma per difendersi. A Berat si moriva per una parola sbagliata o perché si capitava nel mezzo di una disputa fra bande rivali.

Albion partì subito dopo la rivolta, quando le acque italiane inghiottirono gli 82 passeggeri a bordo della Kater radar. Era parte della quarta ondata migratoria, per usare le parole del sociologo Rando Devole che divide la migrazione albanese verso l’Italia che divede la migrazione albanese in cinque ondate, dagli anni ’90 al 2010.

Si emigrava per cercare un futuro.
Arrivato in Italia, Albion è entrato in una comunità per i minori non accompagnati. Fu difficile per lui. Come potrebbe non esserlo per un ragazzo di sedici anni che ha tutto il diritto di piangere… Albion lo faceva, anche quando al telefono sentiva la voce della sua mamma. In comunità ha imparato l’italiano e frequentato le scuole medie. Poi ha cominciato ad apprendere un mestiere, quello del falegname nella bottega di Guido, a Meda. Ha frequentato corsi di formazione serali. Guido Busnelli non era solo il maestro del legno, ma il maestro di vita. Ha aiutato tanti ragazzi a crescere. Da lui Albion aveva imparato che il colore rosso della bandiera albanese, non simboleggiava solo i partigiani albanesi ma anche quelli italiani, perché l’Italia non era solo quella fascista che ci aveva occupato durante la seconda guerra mondiale.

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Grazie a Guido, apprese il dialetto e i tanti proverbi che accuratamente aveva riportato nel suo taccuino. Aveva imparato l’Inno di Mameli, le poesie in musica di De Andre’, i testi di Guccini, le canzoni di Dalla. Sapeva cogliere l’ironia di Gaber, leggeva le lettere di Don Milani, le poesie di Pasolini, i film di Fellini e Rossellini. Apprezzò Totò e iniziò a leggere Gramsci, con quel po’ di albanesità nel sangue. Imparo ad amare Nitzche, Freud, così come quella ricorrenza del 25 aprile. Albion amava l’Italia come fosse il suo paese eppure solo dopo 18 anni ha avuto la possibilità di ottenere la cittadinanza.

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Quei tanti ragazzi che come lui hanno passato qui gli anni più incisivi della loro vita, l’adolescenza, non meritano lo Ius Soli?Quando è andato a giurare fedeltà alla Costituzione italiana, non si è messo in giacca e vestiti nuovi, non era una celebrazione, ma un dovere e un diritto che sentiva gli aspettasse. Ci andò con gli abiti indossati quotidianamente.

Il suo tenore di vita non è cambiato molto: è sempre stato pagato come un immigrato. Si è sentito di serie B, si è arrabbiato, ha cercato di cambiare le cose, ma alla fine si è trovato un’altra volta obbligato ad emigrare e oggi è partito. Soffrirà il doppio perché nel suo cuore ci sono due i paesi, due terre che ama e che gli mancheranno: l’Albania e l’Italia.

Marsela Koci

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