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Albania elezioni senza opposizione e crisi istituzionale,che succede?

di Giorgio Fruscione  | 01 luglio 2019

Il Partito Socialista d’Albania del primo ministro Edi Rama ha vinto le elezioni locali per il rinnovo di 61 comuni tenutesi domenica 30 giugno. Ma si tratta di una vittoria “falsata” dal boicottaggio dei principali partiti d’opposizione – il Partito Democratico e il Movimento Socialista per l’Integrazione – che non avevano presentato alcun candidato in nessun comune. In oltre la metà dei comuni, infatti, correva solo il candidato socialista, mentre negli altri vi partecipavano concorrenti di partiti minori.

Per i socialisti però c’è poco da festeggiare. Con un’affluenza che ha superato di poco il 20%, il voto non può dirsi rappresentativo e, di fatto, larga parte dell’elettorato sembra aver accolto l’invito al boicottaggio dell’opposizione, che contesta gli stessi dati della partecipazione, sostenendo che questa non sia andata oltre il 15%.

Le elezioni amministrative verranno dunque ricordate come le più contestate della storia albanese dalla caduta del comunismo. Il paese si trova in una grave crisi istituzionaleche vede una forte polarizzazione politica e sociale. Da una parte il governo Rama e il suo elettorato (che alle elezioni parlamentari del 2017 contava sul supporto di circa 750mila cittadini, ovvero il 48% dei voti); dall’altro l’opposizione dei democratici guidati da Lulzim Basha, nonché il presidente della repubblica, Ilir Meta.

Da mesi le opposizioni portano avanti manifestazioni di piazza – anche violente – contro l’esecutivo di Rama, di cui chiedono le dimissioni, accusandolo di corruzione e di essere sostenuto da clan mafiosi. Dal canto suo, il premier socialista – che ha sempre respinto le accuse – conta sull’appoggio delle potenze occidentali, Stati Uniti e UE in primis, che sin dall’inizio delle proteste nello scorso febbraio invitano al rifiuto della violenza e alla regolare partecipazione democratica.

L’apice della crisi istituzionale e dello scontrotra premier e presidente era arrivato lo scorso 9 giugno, quando Meta aveva cancellato la consultazione elettorale prevista appunto per il 30 giugno, sostenendo che la situazione politica dell’Albania non avrebbe garantito un corretto svolgimento del voto. Il presidente Meta, alla luce dell’annunciato boicottaggio delle opposizioni, aveva individuato nel prossimo 13 ottobre la data di un voto che sarebbe stato più inclusivo. La risposta dei socialisti di Rama – che nel 2017 supportò la candidatura a presidente di Meta – è stata la richiesta formale di impeachment. Ma questa non può essere portata a compimento, dal momento che la proposta dei deputati socialisti dovrebbe passare dalla Corte Costituzionale, che al momento non può essere formata. Stando alla legge albanese, un terzo dei 9 membri deve essere eletto dalla Corte Suprema – che a sua volta non si può formare –; mentre gli altri 6 membri dovrebbero essere eletti dal presidente e dal parlamento, con 3 nomine ciascuno. A voler usare una metafora, la crisi istituzionale – e costituzionale – dell’Albania è piuttosto kafkiana, e sembra destinata all’impasse.

Dopo settimane di proteste violente, in cui il parlamento di Tirana è stato anche oggetto del lancio di bombe molotov, in molti si aspettavano incidenti durante la giornata elettorale. L’opposizione ha invece preferito l’ironia, schierandosi davanti ad alcuni seggi elettorali indossando le uniformi del passato regime comunista, accostando l’attuale governo a quel periodo, quando i cittadini erano obbligati a partecipare a elezioni con un solo candidato.

Quella del partito socialista di Edi Rama è quindi sì una vittoria, ma la cui legittimazione elettorale pare oggi quanto meno dubbia. Non è un caso che all’indomani del voto – mentre i primi risultati elettorali confermavano la conquista dei comuni in cui si è presentato solo un candidato – il premier albanese abbia invitato l’opposizione al dialogo. “Se loro [l’opposizione, ndr] vogliono la pace, allora l’avranno. La pace ci sarà solo quando la smetteranno di insultare l’Albania in lingue straniere. Se vorranno un accordo per l’Albania, questo ci sarà. L’accordo dovrà essere senza condizioni e con un impegno tale per cui si aprano i negoziati di accesso [con l’UE, ndr] in ottobre. La decisione dell’UE non è nelle nostre mani ma possiamo fare molto”, ha dichiarato Rama.

Il riferimento è al rinvio del Consiglio dell’UE dello scorso 18 giugno circa l’apertura dei negoziati con Tirana, su cui l’UE si esprimerànon oltre il prossimo ottobre.

La crisi istituzionale albanese rischia infatti di compromettere anche il percorso di integrazione europea, per il quale è necessario continuare il processo di riforme – in particolare del settore giudiziario – portato avanti dall’esecutivo di Rama. Ma questi dovrà altresì dimostrarsi pronto a mediare con le parti, affinché il futuro del paese non sia espressione di un’unica forza politica.

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