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Serbia: una “mini Schengen” sfruttata a fini di politica interna

A Parigi dall’11 al 13 novembre scorsi si è discusso della cosiddetta “mini-Schengen” tra i paesi dei Balcani occidentali. L’idea è stata promossa da Serbia, Albania e Macedonia del Nord. Molti i dubbi sull’utilità di tale iniziativa. Intanto Belgrado la sfrutta a fini di politica interna

Di –  Dragan Janjić Belgrado, Oservatorio dei Balcani

L’idea di una “mini-Schengen”, ovvero di un accordo di libera circolazione di persone e merci tra i paesi dei Balcani occidentali – promossa dai leader di Serbia, Albania e Macedonia del Nord – , potrebbe rivelarsi vantaggiosa, ma l’effettiva utilità di questa iniziativa, nelle circostanze attuali, è molto discutibile.

Nulla infatti lascia presagire che l’iniziativa di creare una mini-Schengen possa contribuire a risolvere i principali problemi che affliggono i paesi dei Balcani occidentali, problemi che costituiscono ostacoli all’avanzamento di questi paesi verso l’adesione all’UE e al miglioramento dei rapporti bilaterali tra di loro. È infatti difficilmente immaginabile che vengano compiuti notevoli progressi verso l’integrazione europea senza che si arrivi a una normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado, e la summenzionata iniziativa non offre alcuna soluzione concreta a questo problema.

L’iniziativa della mini-Schengen è stata fortemente promossa in occasione della seconda edizione del Forum della pace, tenutasi a Parigi dall’11 al 13 novembre scorsi. Stando a quanto annunciato finora, l’accordo dovrebbe consentire ai cittadini dei paesi firmatari di attraversare i confini solo con la carta d’identità, oltre a velocizzare la circolazione di merci, capitali e manodopera.

Il governo serbo e i media filogovernativi cercano di presentare questa iniziativa come radicalmente nuova, anche se la volontà di rafforzare la cooperazione regionale c’era anche prima, e in passato sono già stati elaborati diversi progetti e sottoscritti vari accordi di cooperazione, ma le leadership dei paesi della regione si sono dimostrate incapaci di implementarli.

“Ho chiesto al presidente Emmanuel Macron di sostenerci e sono convinto che lo farà pubblicamente, perché questa iniziativa si basa su libertà promosse dall’Unione europea, che sono fondamentali. Stando ai dati ufficiali che ci ha fornito la Banca mondiale, qualora tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali dovessero aderire all’iniziativa, si risparmierebbero complessivamente 3,5 miliardi di euro [all’anno], e solo la Serbia risparmierebbe 1,5 miliardi di euro. [Macron] mi ha chiesto: ‘Intendi invitare anche gli altri? Ti aspetti che accettino?’, e io gli ho risposto: ‘Lo speriamo’”, ha dichiarato il presidente serbo Aleksandar Vučić al termine dell’incontro con il suo omologo francese Emmanuel Macron, tenutosi a Parigi lo scorso 11 novembre a margine dei lavori del Forum della pace.

Tuttavia, non tutti i paesi dei Balcani occidentali hanno mostrato entusiasmo per questa iniziativa. La ministra dell’Economia montenegrina Dragica Sekulić ha dichiarato che il Montenegro ha già adottato, nell’ambito di diverse iniziative promosse da organizzazioni internazionali, gran parte delle misure previste dalla mini-Schengen, compresa la rimozione delle barriere commerciali e di altro tipo verso tutti i paesi dei Balcani occidentali, aggiungendo però che capisce la necessità, da parte di quei paesi che in passato si sono imposti reciprocamente diverse restrizioni, di lanciare nuove iniziative. “Quel foglio non contiene nulla di nuovo, niente che non abbiamo già adottato nell’ambito di diverse dichiarazioni e accordi”, ha affermato la ministra Sekulić.

Raggio d’azione

L’iniziativa per creare una mini-Schengen può essere interpretata come una reazione alla recente decisione del Consiglio europeo di non aprire i negoziati di adesione con la Macedonia del Nord e l’Albania, piuttosto che come un’iniziativa completamente nuova capace di segnare una svolta. Perché i cittadini della Serbia e della Macedonia del Nord già a partire del 2012 possono attraversare il confine tra i due paesi senza dover esibire il passaporto, e lo stesso vale anche per i cittadini del Kosovo, del Montenegro e della Bosnia Erzegovina.

Quindi, l’unica novità dell’accordo di mini-Schengen consiste nel fatto che vi ha aderito anche l’Albania, dove i cittadini serbi non possono ancora viaggiare senza passaporto. Pertanto si può affermare che il discorso incentrato sulla possibilità, prevista dalla mini-Schengen, di viaggiare con la sola carta d’identità non è altro che un tentativo di sfondare una porta aperta, e se l’accordo dovesse entrare in vigore produrrebbe cambiamenti minimi rispetto alla situazione attuale.

La situazione è simile anche per quanto riguarda la cooperazione economica. Gli scambi commerciali tra i paesi dei Balcani occidentali ormai da anni si svolgono secondo le modalità previste dall’accordo di libero scambio CEFTA, sottoscritto da Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Kosovo, Albania e Moldavia.

Nel periodo compreso tra gennaio e agosto 2019 la Serbia ha registrato un surplus di 1,46 miliardi di euro negli scambi commerciali con altri paesi aderenti all’accordo CEFTA, che sono tra i principali partner commerciali della Serbia. Ovviamente, anche gli altri paesi dei Balcani occidentali traggono vantaggio dal CEFTA, ma i rapporti commerciali tra i paesi della regione si sono deteriorati l’anno scorso, quando il governo di Pristina ha introdotto dazi del 100% sui prodotti provenienti dalla Serbia e dalla Bosnia Erzegovina, violando in tal modo l’accordo.

Se Pristina dovesse decidere di revocare i dazi imposti sulle merci serbe e bosniache, l’accordo CEFTA troverebbe nuovamente piena applicazione nell’intera regione, e non ci sarebbe bisogno di creare una mini-Schengen.

Rimane comunque la qeustione delle relazioni Pristina-Belgrado: un’eventuale revoca dei dazi da parte di Pristina aprirebbe la strada al proseguimento dei negoziati sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia, e solo se i due paesi dovessero raggiungere un accordo, la situazione potrebbe stabilizzarsi. In caso contrario, è assai probabile che i rapporti tra Pristina e Belgrado si deteriorino ulteriormente. Tale deterioramento comporterebbe, già di per sé, la possibilità di reintrodurre i dazi sulle merci serbe, e in tal caso il discorso incentrato sull’idea di un “vento nuovo” che soffia nella cooperazione regionale perderebbe ogni senso.

Pristina, almeno per ora, non è direttamente coinvolta nell’iniziativa della mini-Schengen e le forze politiche uscite vincitrici dalle recenti elezioni parlamentari in Kosovo hanno già messo in chiaro, al pari delle autorità montenegrine, che non sono interessate a partecipare all’iniziativa. Al contempo, da Washington arrivano sollecitazioni affinché nell’iniziativa venga coinvolto anche il Kosovo.

Quindi, se dovessero essere compiuti progressi nell’implementazione dell’accordo sulla mini-Schengen e se l’intera idea dovesse essere ulteriormente elaborata, non avrebbe senso procedere senza coinvolgere il Kosovo. E questo ci riporta al problema iniziale, cioè ai rapporti conflittuali tra Kosovo e Serbia.

Vantaggi politici

Partendo dal presupposto che dialogare è sempre meglio che accusarsi a vicenda, l’obiettivo dei promotori dell’iniziativa della mini-Schengen è quello di dimostrare che i Balcani occidentali aspirano ancora ad aderire all’UE, nonostante la recente decisione del Consiglio europeo di rinviare ancora una volta l’avvio dei negoziati di adesione con la Macedonia del Nord e l’Albania.

Tirana, Skopje e Belgrado contano sul fatto che qualsiasi segno di miglioramento delle relazioni tra i paesi dei Balcani occidentali verrà accolto positivamente da Bruxelles e dalle cancellerie europee, dal momento che l’ingresso nell’UE rimane una delle priorità dei paesi della regione.

La mini-Schengen si presta bene anche ad essere sfruttata per aumentare l’ottimismo e per manipolare l’opinione pubblica locale. Vučić e i media mainstream serbi elogiano questa iniziativa, presentandola come un passo avanti che potrebbe contribuire a migliorare notevolmente la situazione in Serbia, senza mai menzionare l’accordo CEFTA né tanto meno il fatto che i cittadini serbi già dal 2011 possono viaggiare in Macedonia del Nord con la sola carta d’identità. Così agli occhi dell’opinione pubblica serba Vučić resta il principale leader politico nella regione, dedito alla pace e alla collaborazione, sempre alla ricerca di soluzioni.

Riassumendo, l’iniziativa di creare una “mini-Schnegen” non può nuocere a nessuno e questo è probabilmente il suo principale vantaggio. Inoltre Bruxelles e le cancellerie europee possono essere contente perché i leader dei Balcani occidentali stanno dimostrando di essere disposti a proseguire nella ricerca di soluzioni che possano contribuire alla stabilità della regione.

Gran parte dell’opinione pubblica serba, che si informa attraverso i media mainstream, è così indotta a pensare che l’integrazione europea della Serbia non sia messa in discussione e che l’attuale coalizione di governo sia in grado di tenere la situazione sotto controllo. Questo stato di cose sicuramente giova alla leadership al potere, soprattutto tenendo conto del fatto che le prossime elezioni parlamentari in Serbia dovrebbero svolgersi tra meno di sei mesi.

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