Di Roberto Spagnoli
Vorrei fare anch’io qualche considerazione, riprendendo in parte quanto ho scritto lo scorso anno, su questa ricorrenza istituita per conservare e rinnovare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra, e della più complessa vicenda del confine orientale”.
La legge che nel 2004 ha stabilito questa ricorrenza reca già in sé una sorta di “peccato originale” là dove parla di “esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre”. Quelle terre non erano soltanto loro. Il doveroso e rispettoso ricordo della tragedia delle foibe e del dramma dell’esodo non può dimenticare che su quello che per noi è il “confine orientale” ci sono anche altre memorie. Non ce l’ho, è evidente, con i superstiti, gli esuli e i loro discendenti, ma con quelle forze politiche che continuano a strumentalizzare le loro vicende e il loro dolore.
Non si può parlare del confine orientale dimenticando ciò che è accaduto fin dall’inizio dell’annessione di quelle terre al Regno d’Italia, dopo la prima guerra mondiale, poi nel ventennio della dittatura fascista e negli anni della guerra e dell’occupazione nazista. Dimenticarsi le storie degli altri, le loro sofferenze, i loro drammi significa contribuire a perpetuare quelle divisioni e quelle contrapposizioni che portarono al conflitto e che vediamo oggi pericolosamente riaffiorare nelle pretese “sovraniste”, declinazione odierna di nazionalismi e dei protezionismi che furono alle origini di due guerre mondiali.
“I territori di frontiera, le località miste, le città multietniche hanno purtroppo un tratto comune, qui sull’Adriatico, come sul Baltico o sul Mediterraneo orientale […]: chi vince prende il piatto. A prescindere da chi sia il vincitore. Anche nel lessico la vicenda è simile”. Lo ha scritto il giornalista, scrittore e storico Alessandro Marzo Magno nella post-fazione al libro “Anime baltiche” dello scrittore olandese Jan Brokken (ed. Iperborea). Marzo Magno parla delle città “che hanno più nomi, nelle diverse lingue che vi sono – o vi sono state – parlate”. Cita Trieste “italianissima per i nazionalisti nostrani”, ma che si chiama ugualmente Trst (in sloveno) e Triest (in tedesco), come Gorizia/Gorica/Gőrz. Quanti italiani sanno che un luogo cruciale della nostra storia come Caporetto oggi si trova in Slovenia e si chiama Kobarid (ma anche Karfeit in tedesco)?
“Il punto è che ognuno di questi nomi ha la sua dignità e la sua storia, mentre i vari nazionalisti vogliono dimenticare il nome degli ‘altri’ ricorrendo soltanto al proprio”, commenta Alessandro Marzo Magno. Accade qualcosa di simile da noi dal 2004 ad ogni 10 febbraio. Dimenticare gli altri che hanno vissuto e vivono sul confine orientale, dimenticare i loro nomi, le loro memorie, le loro storie. Dimenticare la Storia: esercizio pericoloso perché si rischia di riviverla.