di Carlo Bolino
Sono anni che noi giornalisti, spesso affiancati da sociologi e psicologi, denunciamo l’isolamento nel quale le nuove generazioni sono sprofondate, vivendo permanentemente immerse tra smartphone e social media.
Incapaci di comunicare verbalmente, ci ha sempre colpito quel loro scambiarsi messaggi digitali pur stando seduti intorno allo stesso tavolo. Oggi però che il contatto virtuale sarebbe utile ad arginare l’epidemia di Coronavirus, scopriamo che quelle stesse generazioni sono in realta’ cosi tanto dipendenti dai rapporti reali da non riuscire a restare a casa, soli.
Neppure ora che a causa del virus, questo irresistibile bisogno di socializzare mette a rischio la loro salute e quella dell’intera comunita’.
L’epidemia sta rivoluzionando il mondo e capovolgendo mille certezze. Facebook e whatsapp, che abbiamo criminalizzato per anni identificandoli come gelidi strumenti di isolamento, oggi ci appaiono invece come i soli vaccini che potrebbero consentire ai nostri giovani di coltivare i loro rapporti pur restando al sicuro dentro casa.
Ed invece proprio ora che quegli strumenti servirebbero, i giovani ne fanno a meno preferendo accalcarsi dentro pub, discoteche, bar e piazze gremite, abbandonandosi così, inermi, all’aggresione del terribile virus che li trapassa senza pietà usando i loro baci, gli abbracci e le loro carezze.
Pur stando insieme i giovani non riescono a restare distanti neppure quel tanto che basta (appena un metro), da poter rimanere immuni. E così alla fine dobbiamo concludere che la distanza virtuale è del tutto identica a questa frenetica vicinanza fisica, entrambe segnali di una disperata solitudine. #iorestoacasa