Un’intervista alla ricercatrice Klodiana Beshku
La società civile albanese è in movimento? Le associazioni di cittadini si sono rafforzate negli ultimi anni?
Sì, sin dal novembre 2013, anno in cui la società civile è stata molto attiva in proteste di massa contro lo smantellamento sul territorio albanese di armi chimiche provenienti dalla Siria. Da allora ci sono state diverse altre occasioni che fanno ritenere che l’Albania possiede finalmente “una società in movimento”.
Nel 2013 per la prima volta nella loro storia contemporanea gli albanesi protestavano contro la proposta degli Stati Uniti di smantellare le armi siriane del regime di al-Assad in Albania, nonostante lo storico debito di gratitudine verso Washington per aver sostenuto l’indipendenza dell’Albania e del Kosovo.
“Sì, possiamo dire No”, fu uno degli slogan principali utilizzati allora e dice molto sull’essere finalmente coscienti dei propri diritti di cittadinanza.
Altra protesta di massa di grande rilievo in Albania è stata la protesta degli studenti del dicembre 2018. Prima di queste due, la società civile albanese era riuscita comunque ad organizzarne alcune – più piccole – riguardanti diversi aspetti della vita quotidiana e questioni che preoccupavano i cittadini.
Ma sino alle due proteste che abbiamo citato, le manifestazioni di massa sono sempre state appannaggio dei principali partiti. Solo loro riuscivano a raccogliere la gente nella capitale Tirana, organizzando anche le persone di altre città per raggiungere la capitale su autobus o mini-van.
Insegno “Movimenti sociali e politici” dal 2009, e prima del 2013 difficilmente avrei potuto trovare un esempio per i miei studenti di una protesta di massa indetta dalla società civile e a cui si siano unite masse enormi di cittadini albanesi senza tornare indietro alle proteste degli studenti del 1990-1991.
Quali sono le caratteristiche del rapporto tra società civile e politica in Albania?
Penso ci siano tre gruppi principali di organizzazioni della società civile in Albania: uno che deriva dalle organizzazioni governative e lavora a stretto contatto con esse; un altro che è contro il governo (di qualsiasi governo) e lavora a stretto contatto con le ambasciate straniere in Albania o le fondazioni che in quel preciso momento sono posizionate contro il governo e un terzo gruppo che si suppone sia “autonomo” in termini di finanziamenti o che ottiene fondi solo da altre organizzazioni che credono nella stessa ideologia o cause.
Il problema è che il terzo gruppo è molto piccolo, ed era quasi inesistente sino a circa dieci anni fa. Solo negli ultimi anni abbiamo visto nascere ad esempio un vero gruppo di movimento femminista, LGBTQ o di sinistra che cerca di non ricevere fondi da organizzazioni legate al governo o a governi simili nel mondo. In passato, era normale per le organizzazioni della società civile in Albania flirtare con qualsiasi gruppo politico o meno che potesse essere finanziariamente conveniente.
Le organizzazioni della società civile albanese si sentono parte dei movimenti della regione del sud est Europa? O guardano piuttosto a relazioni con l’Europa occidentale?
Il primo e il secondo gruppo di organizzazioni della società civile citate prima di solito cercano qualsiasi opportunità di ottenere fondi finanziari per la loro esistenza, quindi sì, cercano continuamente di relazionarsi con organizzazioni simili in Europa. Il terzo gruppo è molto più selettivo, e stabilisce legami più genuini con organizzazioni simili a loro nell’Europa occidentale, tra queste ad esempio le Ebert Stiftung, Rosa Luxemburg Foundation o il Global Fund for Women. Potrei anche distinguere un gruppo “eurofilo” di organizzazioni della società civile in termini di sostegno dato all’UE nei Balcani occidentali. Queste ultime sono più legate a livello regionale e cercano di sostenersi a vicenda nelle questioni inerenti all’integrazione europea della regione come diritti umani, consolidamento dello stato di diritto, corruzione, libertà dei media ecc.
Recentemente due grandi eventi hanno scosso la società albanese: la fuga di notizie sulle carte di identità e sui salari del 22 dicembre scorso e la fuga di notizie sui numeri di targa delle auto una settimana dopo… Come ha reagito la gente?
La gente era molto arrabbiata per questi eventi e per alcuni giorni ha espresso tutta la sua rabbia e il suo imbarazzo attraverso i social media. Nessuna organizzazione della società civile ha però adottato alcuna iniziativa concreta per affrontare queste questioni e nell’indirizzare una reazione più strutturata a quanto emergeva.
In parte perché non c’è un vero attaccamento al diritto alla privacy in Albania, in parte perché il governo ha reagito molto velocemente nel trovare i responsabili di quanto accaduto. La responsabilità è rimasta nell’ambito di una colpa personale, sono finite sul banco degli accusati 4 persone, anche se due di loro facevano parte di un’istituzione pubblica. Questo fa capire come sia necessario costruire una maggiore consapevolezza sul diritto dei cittadini a proteggere la loro privacy e i propri dati sensibili.
Internet e il web stanno rafforzando la capacità di agire della società civile albanese?
Direi che per alcuni aspetti il web spesso indebolisce la capacità di agire della società albanese, anche se è una buona leva per sensibilizzare sui diritti dei cittadini e sulle questioni che li riguardano. È come se il web – concedendo uno spazio dove le persone possono esprimere i loro approcci o pensieri verso un fenomeno – neutralizzasse le reazioni o la volontà di reagire.
Va considerato poi che la maggior parte delle persone in Albania non sono formate a individuare fake news su internet e il loro passatempo preferito è “navigare” sul web: costituiscono quindi il terreno perfetto per essere manipolati dai social media e, quindi, vedono la loro capacità di reazione indebolita. D’altra parte, anche vari rappresentanti della società civile albanese spesso sentono di aver compiuto la loro missione di reazione pubblica anche solo dopo aver postato online.
Fortunatamente, questo sta cambiando. Sempre più spesso assistiamo a messaggi concreti online o inviti a reagire da parte degli attivisti della società civile e a volte i cittadini rispondono poi attivandosi concretamente.
Quali sono le questioni sulle quali i cittadini albanesi sono pronti a dire la loro?
È una domanda chiave a cui credo che nessuno sarebbe in grado di rispondere in modo completo. A differenza di molti altri, io non ero entusiasta della reazione massiccia del 2013 contro lo di smantellamento delle armi siriane. Non riuscivo a vedere nulla di buono nella mobilitazione dei cittadini solo quando la loro vita veniva direttamente minacciata. Ero invece molto entusiasta della reazione degli studenti nel 2018. Ho visto un’intera generazione ribellarsi contro le condizioni della loro vita accademica e studentesca. È stato davvero incredibile!
Purtroppo la società albanese è ancora molto polarizzata e politicizzata. Le persone reagiscono prontamente alla chiamata alle armi del loro leader di partito o alle questioni politicizzate che il loro amato partito politico ha sollevato nelle priorità del dibattito pubblico. Certo, per fortuna ci sono anche piccole porzioni della società albanese che reagiscono dopo un enorme caso di corruzione pubblica, dopo che una donna è stata violentata o un bambino abusato.
Un grande sforzo è richiesto alla società civile per aumentare la consapevolezza su tali questioni e agli insegnanti e professori per educare a questa consapevolezza anche le giovani generazioni.
I media dovrebbero avere un ruolo nello sviluppo e nel rafforzamento della società civile. È questo il caso dell’Albania?
Dovrebbero avere questo ruolo, ma non è così. I media non coprono le piccole proteste legate a casi di violazione dei diritti umani o di corruzione o a casi che preoccupano un certo gruppo di interesse. I media non sono un “quarto potere” in Albania. Non è mai stato così, ad eccezione dei primi anni del 1990 dopo il crollo della dittatura comunista.
Molti dei giornalisti albanesi dei primi anni democratici in Albania sono diventati estremamente ricchi. Con l’eccezione di pochi che possono giustificare la loro ricchezza, il resto possiede enormi ville in riva al mare e conduce una vita lussuosa che solo poche persone possono permettersi. Una società che ha giudici, giornalisti, agenti di polizia, professori o politici estremamente ricchi ha sbagliato qualcosa nel definire le fondamenta su cui si basa.
Ora per la magistratura – dal 2014 – è in corso un processo di riforma. Credo fortemente che questo processo dovrebbe essere applicato anche ad altre categorie.
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