di Pierfranco Bruni
Abraham Yehoshua, scrittore delle identità scavate nei linguaggi dell’anima e della terra, non ha mai usato un vocabolario delle ferite, delle offese, delle nostalgiche angosce. Il suo narrare è dentro la letteratura.
Resta tutto dentro la letteratura, perché la letteratura, la sua, è completamente assorbita dalla vita vissuta, abitata, attraversata in un tempo di generazioni cicliche. Dentro una letteratura confessione la parola è un sentire ascoltando.
Il mondo ebraico della sua Tel Aviv non è una memoria depositata. È una finestra dentro la stanza che a sua volta si apre a dei corridoi e questi a un immenso labirinto che non è la storia. Ma l’eredità.
Uno scrittore che ha tra le pieghe della carne la testimonianza di un padre, di una famiglia, di generazioni che di raccontano tramandandosi il “rischio” della verità. I suoi libri sono la luce oltre l’ombra.
Da “Tutti i racconti”‘ 1993, ai romanzi a iniziare da “L’amante”, 1977, “Un divorzio tardivo”, 1982, “Cinque stagioni”, 1987, “Il signor Mani”, 1990, “Ritorno dall’India”, 1994, “Viaggio alla fine del millennio”, 1997, “La sposa liberata”, 2001, “Il responsabile delle risorse umane”, 2004, “La scena perduta” agli ultimi “La comparsa” e “Il tunnel” la memoria è un incastonato dentro l’esistente e l’ esistere quotidiano.
Ci sono i passi del tempo che incidono la dorsale degli orizzonti della costante ricordanza che è la partenza del restante. Dal romanzo al saggio al teatro lo scrittore scava i confini e dentro i confini recupera le tracce e queste diventano un ulteriore incontro-intreccio tra eredità e identità. Nel labirinto dell’identità, che è il titolo anche di un suo libro di saggi, c’è la parola data, la parola ricevuta, la parola trasmessa fino al “camminamento” insieme delle persone (una sua opera teatrale) che pur non dandosi appuntamento si ritrovano perché si incontrano nell’immenso del destino.
Perché “L’amore è una prova della nostra caducità, ma anche della nostra possibilità di superarla”, come egli scrive, trasmettendo, appunto, una bella metafora nella quale si coglie: “Ogni volta che taglio una mela immagino il desiderio delle due metà di ricongiungersi, e allora le taglio ancora e ancora”.
In questo viaggio affascinante, afferrabile nell’indefinibile, discreto nel non accettare reticenze c’è soprattutto la visione di Mediterraneo. Il suo il nostro. Il nostro che è il loro. Il loro che è il Mediterraneo del mistero dei deserti e delle croci ha lo spazio nel tempo irraggiungibile se non nella consapevolezza di essere comunità. Uomini, persone, l’essere e mai individui: un cercare fino in fondo l’eternità dell’infinito che diventa infinito della memoria.
Qui è il cuore di Abraham Yehoshua. Era nato il 9 dicembre del 1936 a Gerusalemme. È morto il 14 giugno del 2022, a Tel Aviv, Israele. Lo scrittore del cosmouniversale e delle identità dentro le eredità.