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Su un concetto purtroppo superato e anacronistico: il falso mito della critica letteraria e la narrativa albanese contemporanea

di Fabio M. Rocchi Albania News.it

Di recente – 6 luglio 2022 – ho letto su Albania News un pezzo che evidenziava una presunta sofferenza della letteratura albanese contemporanea, con annessi alcuni dei motivi che ne impedirebbero una adeguata diffusione in Italia. Pur avendo trovato numerosi spunti nel discorso di Anna Lattanzi vorrei proporre una prospettiva diversa rispetto a quella chiave di lettura, entrando nel merito di alcune affermazioni.

Ringrazio Olti Buzi, ideatore e animatore di questo magazine online fin dall’anno 2008, per aver accolto la mia replica, così come colgo l’occasione per rivolgere un pensiero di sincera gratitudine – da lettore e da appassionato di letteratura – a tutte quelle persone che, nel corso di anni di lavoro splendido, hanno dedicato energie per favorire la conoscenza del mondo albanese. Qualunque ricerca online effettuata oggi non può prescindere da quella che è diventata una vera e propria banca dati di riferimento, capace di mantenere viva la memoria di alcune tra le più recenti evoluzioni di un panorama culturale senza dubbio complesso e basato alle origini su una accelerazione per certi aspetti vertiginosa, con una storia straordinariamente recente rispetto ad altri scenari, dopo la stasi del lungo periodo segnato dalla dittatura.

Dall’articolo di Lattanzi vorrei isolare tre punti: il primo riguarda la qualità delle riflessioni critiche sviluppatesi in seno all’ambiente letterario albanese; il secondo invece si concentra sulla funzione odierna della critica e sulla sovrapposizione tra il concetto di critica e quello di recensione; il terzo, infine, mette a fuoco il problema delle traduzioni e il rapporto che si istituisce tra i romanzi di provenienza albanese e il mercato editoriale.

La critica letteraria in Albania

Nella ricerca di alcune cause che impedirebbero alla letteratura albanese contemporanea una diffusione e un successo di pubblico in Italia, il pezzo che ha originato questa mia risposta evidenzia tra le prime una mancanza di deontologia e di spessore nella critica letteraria albanese, che secondo quel parere sarebbe incapace di giudicare un’opera narrativa o poetica senza incorrere, quanto meno, in un vizio di manicheismo. Quando si attacca in maniera così frontale e così generica una categoria si corre sempre qualche rischio di troppo, così come ci si deve attendere una replica. Se questa non è – ancora – arrivata dal mondo accademico albanese, le cause di questa mancata risposta risiedono probabilmente in un divario rispetto ai luoghi deputati al confronto, che non necessariamente si sviluppa online e non avviene in questo caso esclusivamente in lingua italiana. A prescindere da questo però a me non pare sostenibile il punto di vista per il quale la critica albanese, definita «casalinga» e «povera», debba essere ridotta alla categoria della superficialità e soprattutto non mi pare che questa sia contraddistinta da frequenti atti di disonestà intellettuale. Si può forse dire che, per congiunture storiche, un tipo di atteggiamento veramente critico abbia in Albania una tradizione meno strutturata rispetto ad altri contesti, così come è vero che l’abitudine al dibattito letterario segua strade in parte più circoscritte rispetto alle dinamiche consuete per gli standard europei, ma è comunque un fatto che quello albanese mi sembra un panorama vivo e ricco di punti di riferimento dai quali non si può prescindere. Basta seguire gli editoriali della Rivista Ex Libris (della casa editrice Onufri, la stessa che detiene i diritti per gran parte delle opere in lingua originale di Ismail Kadare) per accorgersi di quanto sia articolato questo mondo, costellato da voci provenienti da generazioni e da approcci diversi.1 Stessa cosa dicasi per il lavoro portato avanti anno dopo anno dall’Akademia e Shkencave e Shqipërisë, una istituzione universitaria che stampa e diffonde un cospicuo numero di pubblicazioni scientifiche anche in ambito teorico e critico-letterario, con intellettuali del calibro di Shaban Sinani, Vasil Tole e Bashkim Kuçuku. Allo stesso modo, non ritrovo affatto frequente quella dicotomia tra i due estremi dell’«orribile» e del «magistrale» che nelle parole di Lattanzi sembrerebbero l’unico metro di giudizio applicato per le opere letterarie albanesi contemporanee. Sotto il profilo della logica una domanda però – a prescindere da queste approssimazioni – mi sembra vada posta: in che misura una critica letteraria scritta in lingua albanese potrebbe o dovrebbe influenzare positivamente l’ambiente culturale italiano a tal punto da favorire la diffusione e la traduzione per questo tipo di letteratura?

Le monografie dedicate alla contemporaneità albanese si tengono ancora piuttosto distanti da quella che può a buon diritto essere identificata come la nuova frontiera letteraria, relativa cioè agli ultimi trent’anni, un periodo in cui il Paese ha drasticamente mutato volto. Ed è comprensibile, visti gli accadimenti di natura storica che hanno come congelato i temi della letteratura albanese attorno agli schemi della pedagogia popolare voluti da Hoxha sulla falsa riga della rivoluzione leninista, determinandone una stagnazione e un ritardo lungo mezzo secolo. Gli studiosi più seri hanno infatti dovuto prima colmare una lacuna di natura ideologica, ovvero discernere all’interno della parentesi del regime di Hoxha non soltanto quali fossero le opere da salvare ma anche quale valore assegnare loro, con l’intento di ricostruire un canone di riferimento che reggesse al vaglio di una rinnovata coscienza civile. Alcuni libri, come quello di Arben Prendi2 o come lo studio collettivo dedicato da Ali Aliu, Shaban Sinani, Stefan Çapaliku e Tonin Çobani alle voci del secondo Novecento albanese si muovono in questo senso.3

Negli ultimi anni inoltre mi sembra che alcuni degli intellettuali albanesi di maggior peso abbiano concretamente manifestato l’intenzione di inserirsi in una corrente di pensiero teorica del tutto aggiornata, ovvero connessa al canone della narrativa transnazionale. Così facendo si è cercata una evasione rispetto ai limiti angusti che le coordinate attardate – quelle del realismo socialista per intenderci – di tanti autori relativamente recenti avevano contribuito a innalzare come barriere contro il vento delle innovazioni letterarie avviate dalla fase modernista e proseguite attraverso le sue evoluzioni successive. È il caso dello splendido studio dedicato al Postmodernismo da Floresha Dado, edito nel 2020 (Postmodernizmi. Poetikë e ‘antirregulit’) e ricco di lezioni analitiche di pregio.4 Basta scorrerne l’imponente bibliografia per rendersi conto non soltanto di un côté metodologico di tutto rispetto, ma anche per constatare che moltissime di queste opere cardine per la maturazione di un pensiero critico, tarato sul primo ventennio del secolo in corso, sono state anche tradotte in lingua albanese, ad uso e consumo di una classe di studiosi che vuole a buon diritto partecipare ad un dibattito che non può non avere caratteristiche globali. Dunque, dove prosperebbe quella «pseudo-critica» che tanto indigna? Forse in qualche blog e in qualche gazzetta di valore relativo (di per sé luoghi spesso lontani dall’esercizio della critica), non certo nei libri di riferimento.

Un concetto anacronistico: la critica letteraria non orienta più il lettore

Più volte, specialmente nel confronto online  – in cui l’esternazione estemporanea a uso e consumo dei social coesiste accanto a forme più organizzate di discorso – ho visto come sovrapporsi due concetti che sono dal mio punto di vista assai distanti. Intendo dire che la forma della semplice recensione non è di per sé un atto di critica letteraria. Proporre un riassunto dell’opera, con tanto di divagazioni che premiano spesso un presunto “bello stile” più nel recensore che nel recensito, può essere utile, ma non decisivo, specialmente quando mancano connessioni di portata più ampia. Non conta soltanto un contesto di riferimento diretto per inquadrare un libro. Oltre alla diacronia di quella specifica storia letteraria nazionale viene troppo spesso cioè trascurata la contemporaneità comparatistica, una sfera che permette di istituire parallelismi rivelatori sullo stato e sull’attualità di quel tipo di narrazione e di quell’autore. In questa fase ulteriore risiede un atto di lettura più genuinamente critico e dotato di spessore. Ma se anche così non fosse, quale è il valore che possiamo assegnare oggi alla critica letteraria?

Non sono affatto convinto, come invece appare Lattanzi, che il percorso di un libro sia questo: «Il libro nasce nella lingua del padre, vede la luce grazie alla casa editrice che decide di prendersene carico, viene presentato dall’autore con il supporto di persone competenti (non sempre succede), riceve le critiche sotto forma di recensioni e articoli, passando così al lettore». Purtroppo – e lo dico con un rammarico anche personale, negando di fatto una funzione sociale all’attività dei miei studi – dalla fine degli anni Settanta (se vogliamo fissare un momento simbolo in Italia sicuramente quasi subito dopo la morte di Pasolini) le cose non funzionano più così. Quel rapporto che Lattanzi vorrebbe unidirezionale – dal critico verso il lettore – ha cominciato ad incrinarsi in maniera irreversibile. Coesistono al contrario binari paralleli che spesso non si incontrano. Il pubblico mainstream, così come quello di nicchia, non attende la recensione del critico – una categoria che di per sé tra l’altro non mi sembra possa esistere come professione autonoma, ovvero scissa da un ambito professionale che preveda in simultanea anche altro (docente, editor per case editrici, scrittore) – per decidere quali letture affrontare. Siamo di fronte ad uno scenario anacronistico che, se si riflette sulle dinamiche di ricezione odierna, non sembra nemmeno funzionare per la più recente tra le arti, il cinema. C’è una zona più opaca e indefinita, rappresentata da una community di appassionati in ascolto, capace di esistere e di dialogare quasi esclusivamente nella dimensione dell’online. Contano in questa fase molto più i pareri e i commenti del pubblico stesso rispetto a quelli di chi vorrebbe porsi come guida. Le sorti di alcuni libri sono decise più dai gruppi di discussione sui social – ve ne sono alcuni in cui l’interscambio tra i membri è davvero illuminante – rispetto agli articoli che escono sulle riviste di settore, lette purtroppo quasi esclusivamente dagli specialisti e dagli stessi scrittori, in un circuito chiuso che alimenta sé stesso. Al di sopra di tutto però, non va mai dimenticato, agisce quello che si potrebbe definire secondo una impostazione ancora marxista il mercato, attraverso il condizionamento potente della cosiddetta industria culturale. Senza una comunicazione laterale e pervasiva il libro non esiste. Si può recriminare e gridare allo scandalo quanto si vuole ma le cose stanno così – e non cambieranno. Scrivere per essere letti in una forbice compresa tra le trecento e le mille persone (ovvero una tiratura media minima anche e soprattutto in tempi di editoria a pagamento) non fa di te uno scrittore, né permette alle tue idee e alle tue storie di diffondersi.

Sulla perdita di aderenza tra critica e pubblico del resto, fin dagli anni Novanta del secolo scorso, si è sviluppato un ampio dibattito5 in cui le posizioni di numerosi intellettuali di spicco hanno finito per convergere su un punto. Un approccio profondo, motivato da strumenti e articolato, in cui grazie alla riflessione possa rivelarsi un testo, risulta anacronistico. La critica ha, quasi definitivamente, abbandonato la pretesa del dialogo con il lettore, lasciando spazio alla superficialità di una comunicazione di facciata, ben esemplificata ad esempio dalla promozione dell’evento di natura culturale, in cui a dominare è la logica dello sponsor e in cui non può mancare la parentesi spesso ludica dell’intrattenimento, per la quale cioè all’interno dello stesso contenitore (o format che dir si voglia) vengono accostati momenti di natura eterogenea.6

Sul tradurre dall’albanese e sul sistema editoriale odierno

In un simile bilancio, in cui la critica non riesce realmente a influenzare più chi legge, rientra anche il discorso sulle case editrici e sul loro latente lavoro di selezione. In questa direzione, relativamente al contesto di cui stiamo parlando, troppo spesso è assente una linea editoriale chiara e riconoscibile, per la quale cioè si possa parlare di reali scoperte, all’interno di collane dotate di una fisionomia ben precisa. Ma non punterei il dito sulla mancanza di convinzione o di promozione da parte degli editori nei confronti degli autori che entrano a far parte di cataloghi fisiologicamente vasti. Questi autori sono già limitati all’origine da una prestazione professionale per la quale è prioritaria la legittima ricerca di una efficienza economica. Molte persone, non è certo un segreto, pagano per vedere la propria opera pubblicata, circostanza che non elimina a priori un valore per le cose da loro scritte ma che disimpegna per contratto l’editore da qualsiasi tipo di investimento successivo alla stampa della tiratura concordata. Dal mio punto di vista sono piuttosto le traduzioni – passaggio fondamentale per un approdo significativo sulla scena italiana – a risultare deficitarie. La situazione mi sembra abbastanza delineata: i traduttori per professione (in Albania ve ne sono di eccellenti) preferiscono quasi sempre concentrarsi sui classici della letteratura italiana, soprattutto del Novecento, affrontando un percorso dall’italiano all’albanese e impegnandosi di rado nel tragitto inverso. Restano così troppo di frequente a disposizione delle case editrici figure quasi mai formate da scuole di interpretariato e da una assidua routine di confronto con i testi, per le quali una conoscenza anche approfondita della lingua madre è un viatico sufficiente per affrontare un complesso lavoro di trasfusione di un pensiero e di un immaginario da un contesto linguistico ad un altro. Si può sostenere, al vaglio dei risultati, che questi operatori posseggano una altrettanto efficace conoscenza di una lingua italiana che suoni anche coerente prima ancora che letteraria? Mi pare di no, ed è qui infatti che nascono i problemi. Del resto l’autore di punta di tutto questo movimento, lo scrittore vate che pur provenendo davvero da un’altra epoca rappresenta ancora l’Albania nel mondo delle lettere, Kadare, vive egli stesso una contraddizione in termini, nel momento in cui si chiarisce – come ha fatto Francesca Spinelli in un bellissimo articolo7 – che le sue traduzioni in italiano siano molto spesso effettuate in realtà dal francese e non dalla versione originale dei dattiloscritti.

Questo per dire che non mi sembra sussistere l’esigenza di alcuna crociata di cui farsi «paladina», così come non credo subentri alcun tipo di pregiudizio nei confronti della ricezione della letteratura albanese da parte del panorama italiano. Qualche cattiva traduzione di troppo e soprattutto la mancanza di adeguate casse di risonanza mediatiche, relative cioè a editori contenuti per possibilità e marginali al sistema, hanno fatto sì che alcuni testi non siano stati valorizzati per come avrebbero meritato. Lattanzi sembra prendersela con Ermal Meta – pur non nominandolo – quando segnala che un suo recentissimo romanzo avrebbe ricevuto immeritatamente attenzioni di pubblico, ma è proprio questo tipo di impatto quello che permette alla letteratura di rompere il silenzio al quale altrimenti sarebbe per lo più destinata. Tra l’altro, Ermal Meta ha costruito con Domani e per sempre un plot avvincente,8perfettamente in linea con un filone narrativo già ampiamente praticato da altri e ben presente nella letteratura albanese, italofona così come scritta in lingua madre: quello delle memorie di guerra e del romanzo familiare. Kajan, un ragazzino pieno di vita e dotato di una sensibilità non comune, impara da un soldato tedesco il pianoforte e la musica, rivela un talento innato, sullo sfondo di vicende belliche e familiari dolorose. Poi ha luogo una seconda parte della vicenda, in cui il protagonista diventa adulto all’interno di una formazione esistenziale e amorosa che lo porta a compiere scelte che mettono in discussione la propria coscienza. Mi sembra una trama destinata al successo – e infatti già molti pareri su questa opera sono con ragione favorevoli, mentre si parla di una trasposizione sceneggiata per il piccolo schermo. Un connubio collaudato, che funziona, per una storia alla quale ci si deve avvicinare con rispetto e con curiosità. Lo hanno decretato già altri quando – a partire dal saggio fondamentale di Guy Debord del 1967 – si è cominciato a parlare di società dello spettacolo: un fenomeno può veramente esistere solo in una misura direttamente proporzionale alla sua capacità di diventare oggetto di interesse di massa e – oggi più che mai – evento veicolato dall’mmagine.9 In altre parole, per tornare alla stragrande maggioranza dei libri, il destino toccato in sorte ai romanzi albanesi non è diverso da quello riservato al novanta per cento  dei testi che vengono pubblicati ogni anno in Italia. Tanto per dare un’idea del fenomeno, stiamo parlando di circa 68.220 opere (delle 75.758 pubblicate – dati Associazione Italiana Editori del dicembre 2020) di cui quasi nessuno leggerà una riga. Una marea di parole impresse su carta che però rimarranno mute.

Penso che il miglior sforzo che tutti noi possiamo offrire alla diffusione della letteratura albanese – passata e presente, scritta in lingua madre così come italofona – sia una riflessione condivisa e plurale, una riflessione che cioè coinvolga anche gli specialisti, in primis quelli albanesi, la categoria fondamentale dei traduttori così come quella degli scrittori, attraverso un approccio documentato, nutrito di bibliografia e inserito allo stesso tempo in un orizzonte geo-culturale più vasto, capace di rimanere equidistante dalla personalizzazione del punto di vista e dall’emotività delle impressioni di lettura. Il contemporaneo, inteso come campo di spinte contrastanti e ancora in movimento, è davvero un terreno instabile, che si presta con difficoltà a fotografie in itinere. Solo con un dibattito realmente allargato ad una pluralità di pareri si può tentare di definirne alcuni confini, cercando soprattutto di  comprendere le effettive forze in gioco che ne determinano gli orientamenti.

Note

  1. Non è la sola Ex Libris ad occupare una posizione importante nel panorama delle riviste culturali online albanesi. Apprezzo molto anche il taglio di Revista Letrare, ricca di rubriche e dotata di una redazione molto attiva.
  2. PRENDI Arben, Letërsi Shqipe Bashkëkohore, Fiorentia, Shkodër 2015.
  3. LIU Ali, SINANI Shaban, ÇAPALIKU Stefan, ÇOBANI Tonin, Letersia bashkëkohore shqiptare, Albas, Tiranë 2001.
  4. DADO Floresha, Poetikë e ‘antirregulit’, Akademia e Shkencave e Shqipërisë, Tiranë 2020.
  5. Su questo argomento si vedano almeno SEGRE Cesare, Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?, Einaudi, Torino 1993; CASADEI Alberto, La critica letteraria del Novecento, Il Mulino, Bologna 2001; BENEDETTI Carla, Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri, Torino 2002; LAVAGETTO Mario, Eutanasia della critica, Einaudi, Torino 2005 e BRUGNOLO Stefano, COLUSSI Davide, ZATTI Sergio, ZINATO Emanuele, La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento, Carocci, Roma 2021.
  6. Un approfondito articolo dello studioso Daniele Giglioli riassume molto bene i passaggi fondamentali degli ultimi trent’anni in seno al declino della critica letteraria. Si veda GIGLIOLI Daniele, Oltre la critica, in XXI Secolo, Enciclopedia Treccani, disponibile online a questo link .
  7. SPINELLI Francesca, A due o a quattro mani: lo strano caso dei traduttori di Ismail Kadare, in «Nazione Indiana», gennaio 2012, disponibile online a questo link.
  8. META Ermal, Domani e per sempre, La nave di Teseo, Milano 2022.
  9. DEBORD Guy, La société du spectacle(1967) trad. it. La società dello spettacolo, Dalai Editore, Milano 2013
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