Home Approccio Italo Albanese E adesso parlo! Il labirinto della narrazione.

E adesso parlo! Il labirinto della narrazione.

Di Wafaa El Beih*

Nel 1962, sul «Menabò 5», Calvino, analizzando tendenze della produzione letteraria contemporanea, marcate profondamente dalla presenza del labirinto, suggerisce un nuovo ruolo della letteratura: «Quel che la letteratura può fare è definire l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita, anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto ad un altro. È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto.» [Una pietra sopra, 2002, p. 116]. 

La stessa sfida la crea l’alter ego di Maria Teresa Liuzzo in E adesso parlo!: nel suo tentativo di raggiungere “la parte nascosta” della storia della sua protagonista, dove abita il non detto e il non dicibile, il narratore, creando il proprio labirinto, si muove abilmente tra due cosmi e due strutture narrativi ben distinti: la mimesi della vita reale, il mondo della violenza e del male che resiste al vivere civile e legale,  e la vita interiore che libera la mente umana dell’omertà, degli intrighi e dei limiti. 

Il gioco narrativo che combina insieme le parti di questi due cosmi sembra adeguarsi a due canoni diversi: il primo della continuità e della fluidità (con tutta la serie dei correlati concettuali ad essa connessi, quali storicismo, evoluzionismo, pensiero dialettico, etc.), il secondo della discontinuità e della divisibilità.

Dovrebbe essere fluido il corso della vita reale, in quanto fatto di una successione logica/cronologica di fatti ed eventi, ma, invece, sono più lineari le sequenze che riportano al mondo interiore di Mary, alla poesia, alla musica, al sogno e all’amore. 

Mauro Decastelliscrive nella prefazione dell’opera, descrivendo “i collegamenti” che crea l’amore: «L’amore, il fulcro della vita interiore di Mary bambina e poi donna, opera anch’esso collegamenti, mette in relazione, unisce: perciò non è possibile raggiungere Dio, né farne conoscenza, senza l’esperienza del fuoco dell’amore che immola la nostra esistenza egoistica trasformandoci in cenere, dalla quale l’anima immortale risorge con una nuova vita.» [p. 21].

Sin dalle prime righe, si elabora molto coscientemente il carattere labirintico della narrazione, con i suoi significati imprevisti e con le sue pieghe rimosse: «Mary ricorda la sua infanzia sin dall’età di cinque anni attraverso un replay di immagini che riguardano eventi che hanno segnato la sua vita per sempre.

Un autentico calvario per questa bambina che scriveva sempre di nascosto, alla continua ricerca di un Dio che immaginava sordo tra le nubi, perso nel cosmo e nell’umanità: bambina che avvertiva dolorosamente il bisogno di sentirsi figlia di qualcuno.» [p. 26]. Si scopre qui una parte del gioco combinatorio di Liuzzo: il replay di immagini, la serie di momenti discontinuidove non si scorge un domani, si oppone alla fluidità della scrittura e della poesia. Il gioco combinatorio, lungi dall’essere un modello semplicistico e riduzionistico di comprensione della realtà, sia universale sia individuale, ne moltiplica gli spazi e ne dilata le prospettive, aprendosi al suo carattere molteplice, cangiante, polimorfico, potenziale ed enigmatico. 

Nel testo che ha contorni quasi sfumati, si alternano sogni, visioni, premonizioni, segni del cielo e scene di una realtà che si mostra con tutta la sua crudeltà. A volte tale alternarsi ha un ritmo veloce; basta un passo con cui il narratore  attraversa lo specchio, e subito si trova nel mondo magico della sua protagonista: «Mary andò a vivere dal nonno paterno, al quale raccontò alcuni particolari della sua Via Crucis, ma il padre andò a riprendersela per riportarla a casa. Era una sera d’inverno, e Mary aveva giurato, a fatica, al suo cuore, che non sarebbe più tornata a quell’inferno.

Il suo pianto scorreva nella notte e cadeva come le nubi dal cielo nell’oscurità del mare e della coscienza umana, senza temere le tenebre. Mary pensava al suo Raf, immaginava di essere lei il mare e lui l’oceano azzurrissimo di giorno e vermiglio al tramonto. Sarebbe stata la sua luce […]» [p. 46]. Altre volte, i sogni e le illusioni si alternano per pagine, liberando il tempo della narrazione, mentre quello della storia rimane in realtà fermo. Così succede nel quinto capitolo intitolato “L’inganno”: «Come sempre accade “il cuore gioca spesso con l’impossibile”, e quello di Mary era soltanto un pallone al quale tutti tiravano calci nell’assurda speranza di segnare più goal. Quell’amore per Raf […]» [p. 56].

Il percorso si complica, tematicamente e tecnicamente, ancora di più con i commenti e le osservazioni che inserisce spesso il narratore: «Altro errore commesso da Mary che aveva peccato sempre per troppo amore: accogliere in casa sua le figlie del marito.» [p. 72]; (Parliamo di un medico nelle cui mani affidiamo la nostra salute! Diritto costituzionale, e nel nostro caso un medico che, temendo di fare tardi a una cena, aveva  tolto il distintivo di riconoscimento dall’auto e aveva proseguito senza fermarsi a prestare soccorso a un uomo che era a terra circondato da una folla che attendeva l’arrivo di un’ambulanza. Questo è il giuramento d’Ippocrate, la beffa della deontologia!)»[p. 79].

Tutto si intreccia producendo simboli chedominano la storia, costruiscono degli sviluppi potenziali, sospendono lo svolgimento, distendono lo spazio e moltiplicano o «fossilizzano» il tempo. Il labirinto penetra in tutte le sfere dell’universo di Liuzzo. Decisivo sembra qui il fattore psicologico: un dato spazio può essere labirintico non perché vi assomiglia, ma perché così viene descritto dal narratore,vissuto dai personaggi e visto dai lettori.

*Docente di Letteratura Italiana all’Università Helwan de Il Cairo

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